Sono ormai da 6 anni in Camerun e la maggior parte del tempo l’ho trascorsa al nord, regione in prevalenza musulmana. Amo questa terra e, dal primo giorno che vi ho messo piede, ricordo che nel cuore erano nate queste parole: “È la mia terra, quella che il Signore mi ha promesso”.
Il tempo passa e tutto diventa routine: la vita con la gente, l’apostolato, il caldo e anche le situazioni difficili in cui vive la popolazione. Ci si abitua! Poi un giorno arrivano due giovani italiane per un esperienza di missione e tutto cambia. Inizio a portarle in giro, ad incontrare gente e rivedo nei loro occhi il mio stesso stupore dei primi tempi.
Un giorno siamo andate a visitare un villaggio Mbororo, (etinia di nomadi senza una dimora stabile), che si spostano con il bestiame, buoi, capre, pollame da un posto all’altro inn cerca di cibo.
Una vita assurda per noi che abbiamo bisogno di sicurezza e stabilità. Una vita di incertezze, di povertà, e posso dire anche di poca istruzione. Il loro obiettivo principale è l’allevamento del bestiame che dà la possibilità di vivere e mangiare. Gente chiusa e diffidente con gli stranieri, ma che ci ha accolto con una semplicità disarmante, addirittura facendoci entrare nelle loro capanne per capirne la cultura.
Lo sguardo di Elisabetta e Erika era lo stesso mio sguardo degli inizi: uno sguardo di stupore e rispetto, uno sguardo d’amore, uno sguardo che allarga il cuore e che ti fa capire che la missione è relazione tra popoli, tra persone che si scoprono figli di uno stesso Dio che ama l’umanità e che non ha avuto paura di sacrificare il Suo unico figlio per salvarci e mostrarci la Sua misericordia.
sr. Lucia Cavallo – Camerun