EDITORIALE
Il mondo digitale è un terreno da missionari del Pime il cui carisma si può riassume in poche parole: portare l’annuncio di Gesù laddove non è conosciuto.
In questo numero della rivista la missione si confronta con la comunicazione social e si domanda quale sia il bene che può essere veicolato attraverso i nuovi strumenti digitali, in particolare ai giovani. Riusciremo ancora a catturare il loro interesse, il loro cuore per portarlo a Gesù Cristo stando sulle piazze virtuali che essi frequentano e nelle quali noi adulti siamo un po’ impacciati se non a disagio?
Questa domanda è ineludibile e va presa con grandissima serietà perché ne va del senso ultimo della Chiesa: testimoniare il Vangelo. In quest’ottica il mondo digitale è un terreno da missionari del Pime il cui carisma si può riassume in poche parole: portare l’annuncio di Gesù laddove non è conosciuto per fondare la Chiesa.
A metà del Diciannovesimo secolo, un gruppo sparuto di giovani missionari partiva alla volta di un Paese lontanissimo e sconosciuto, la Papua Nuova Guinea. Non fu un’esperienza di successo, anzi. Tra morte e malattia la missione fallì, ma fu l’inizio di una storia gloriosa che dura da 171 anni, quella di pochi uomini testardi che solcano mari e oceani semplicemente per dire, a qualcuno che non li ha chiamati, che conoscere Gesù è bello, vale la pena vivere con lui come compagno di viaggio.
I missionari del Pime hanno fatto dell’incontro con i popoli e le persone lo strumento con cui annunciare il Vangelo. Dentro le relazioni che hanno instaurato, la Buona Notizia ha preso carne e sono nate storie di conversione bellissime e spesso commoventi, vite cambiate, letteralmente salvate da questa relazione. Ecco, anche il terreno digitale non può fare a meno di questo incontro. Mai. Né per insegnare in una classe di liceo, né per il lavoro in ufficio, né per l’annuncio missionario.
Nella Silicon Valley i colossi del digitale stanno chiedendo ai propri dipendenti di trascorrere almeno metà del loro tempo in presenza riducendo il lavoro da remoto. Tra gli adolescenti aumentano i casi di depressione. Ci stiamo accorgendo che senza l’incontro con l’altro in carne e ossa non possiamo stare. Se la pandemia non ci ha insegnato questo, abbiamo perso un’occasione fondamentale.
Davide, nella rubrica in cui racconta la sua esperienza di un mese in Thailandia, dice: «Ho vissuto lo stare. Durante tutto Giovani e Missione ci hanno fatto una testa così con questo “fare versus stare”… Ora devo ammettere che avevano proprio ragione, perché la parte più importante di questa missione era proprio lo “stare”. Solo così sono riuscito a vedere le cose da un’altra prospettiva e vivere qualcosa di unico». Certamente è bene essere nel mondo digitale per annunciare il Vangelo anche lì, ma non possiamo rinunciare allo “stare” di cui parla Davide, all’incontro personale e reale, allo scambio di sguardi vero e diretto, perché se il «Verbo si è fatto carne» noi non possiamo prescindere dalla carne per portare il Verbo a chi non lo conosce. I giovani frequentano le piazze digitali: dobbiamo incontrarli lì per conoscerli e poterli poi abbracciare per davvero, quando il virus ce lo permetterà, dicendo: «Il Signore è già con te, e questo abbraccio ne è la testimonianza».
Mario Ghezzi – Mondo e Missione di maggio 2021