Mi piace tanto ricordare, tornare cioè, con cuore e mente a quei volti ed eventi che sono stati il luogo dove Cristo mi ha toccata: ricordare ha sempre un non so che di speciale, forse perché farlo diventa subito questione di pelle.
E gennaio si presta a questo sguardo in modo per me privilegiato: esattamente dieci anni fa, tornando dal capodanno in Villa Grugana, la scoperta di un Gesù uomo, non più un Dio lontano come lo avevo vissuto fino a quel momento, una rivelazione – in una fase della mia vita difficile – che mi ha capovolto la prospettiva mettendomi in allarme. “Solo Tu, Gesù”, sono state le tre parole che le mie labbra hanno ripetuto per un anno intero, senza che io mi rendessi conto di cosa stessi dicendo, chiedendo, probabilmente già desiderando.
Il cuore è arrivato subito, la mente ci ha messo un po’: solo un anno dopo nel gennaio 2014, un energico “senza riserve, Savi” ha reso chiaro anche alla mia pelle il desiderio di essere tutta intera solo di Cristo e donarmi così, intimamente unita a Lui, a ogni anima da incontrare fino agli estremi confini della terra. Da allora un’avventura stupenda, fatta di lunghe e forti resistenze e poi di piccoli passi, ha segnato le pagine più preziose della mia vita.
Il cammino mi ha portato a Roma nella novità del noviziato internazionale: è uno speciale contatto a scandire il privilegio di questa esperienza! Un contatto che riconosco a diversi livelli: anzitutto quello con compagne di diversa provenienza, suolo dove prendono forma legami profondissimi, sintonie e intese che non badano a origini, e al tempo stesso grandi sfide che sentono, inevitabilmente, il prezzo delle differenze culturali.
Nella comunità in cui vivo, inoltre, la stretta vicinanza con missionarie di svariate esperienze e in fasi diverse del cammino si è mostrata da subito una ricchezza preziosa e impagabile che dà un senso di famiglia importante.
L’incontro poi con altre realtà ecclesiali alla SIC – la scuola intercongregazionale di noviziati – mi dona di sperimentare la bellezza di sentirsi Chiesa, di essere in cammino uomini e donne insieme. È un contatto che mi fa cogliere una sfumatura cruciale: ci sono sfide non solo mie, ma di tanti giovani in discernimento e soprattutto della Chiesa intera, e questa consapevolezza mi aiuta a maturare fiducia, a non sentirmi sola, a ridimensionare l’orgoglio e a crescere nell’umiltà di riconosce che l’Opera è Sua, ad alimentare e fortificare i desideri più belli che abitano il mio cuore per questa amata Casa.
Stare a Roma inoltre è occasione unica per entrare in contatto con lo splendore dell’arte e della musica: la contemplazione di opere uniche di pittura, scultura, architettura di fama mondiale o nascoste, così come la partecipazione a eventi e concerti musicali aumenta in me lo stupore per l’amore del Creatore verso l’uomo e al tempo stesso per la dignità e i talenti dell’essere umano. Mi sembra anche questa un’opportunità formativa altissima che mi permette di tenere viva dentro di me quella domanda provocatoria che il Card. Martini fece trent’anni fa: quale bellezza edifica l’uomo, lo restituisce più pienamente a se stesso dentro un mondo che è sempre più in competizione, sempre più di corsa, un mondo che spesso sembra non sapersi fermare per ascoltare le esigenze e i bisogni più veri e interiori di un individuo? È questo il tempo per chiedermi ancora più intensamente cos’è Bellezza, cos’è che proietta verso la «vera meta cui tende il nostro cuore inquieto», dov’è il mio tesoro da poter condividere un giorno con coloro che incontrerò.
Questo stretto contatto con diverse realtà favorisce domande di senso che sento nascere anche e soprattutto nel campo dell’apostolato: per me l’occasione unica è nel servizio che svolgo presso la comunità di accoglienza mamma-bambino – casa di Maria Teresa nel centro Pedro Arrupe a Roma. L’impegno – nel turno dal sabato sera alla domenica – è di assistenza, sostegno e compagnia a delle donne che hanno perso la potestà genitoriale (o è stata loro limitata). Sono ore di convivenza in cui diventa strettissimo il contatto con quel luogo sacro di una maternità ferita che nella sua estrema fragilità tenta il possibile per “riscattarsi”: entrare in relazione con le mamme è la parte più importante e anche la più sfidante, perché spesso devo superare il muro della loro sfiducia, del senso di colpa che le fa sentire giudicate, in difetto verso tutto e quindi sulla difensiva. A volte quel primo “tirare calci” non è altro che un banco di prova per verificare se e quanto resto disponibile, quanta pelle continuo a mettere per loro e i loro bimbi, se rimango o mi sposto.
Mi sembra un’esigenza di amore altissima! “L’amore ha bisogno di pelle e nient’altro”, canta Giuliano Sangiorgi dei Negramaro: è proprio vero, lo diceva anche p. Vismara, “esigono la pelle, tutta la pelle, nient’altro che la pelle”. È forse la fase più delicata con ciascuna di queste giovanissime madri – creare fiducia – ma è anche quella che mi chiede più tenerezza, più cura, che esige di crescere nell’arte stupenda che è l’uso più appropriato della parola e del gesto, in base al volto che ho davanti e alla situazione: a volte la richiesta velata è che io invada il loro spazio perché possano capire che io ci sono, altre volte chiedono di retrocedere e attendere.
Inevitabilmente è anche un servizio che intercetta interamente le domande di senso sulla maternità, quelle più vere: un contatto come questo mi riempie di stimoli per guardare in faccia quei desideri e quelle paure più profondi su un tema che sento essere la perla preziosa. Di certo però non mi sarei mai aspettata una simile opportunità: la delicatezza di provare a custodire almeno un pochino – con quella che sono, imperfetta – chi la vita l’ha custodita nel suo grembo per nove mesi, dandola poi alla luce e lottando ora per continuare a farlo. E intravedo così, a malapena ma quanto basta, quella promessa di una maternità diversa in cui questo dono bellissimo mi aiuta a credere e sperare, provando anche io a pormi “nel numero dei ‘pellem pro pelle’ (pellem = pelle in latino), tutti i giorni, un brandello al giorno, con animo sereno, da forte, senza rimpianto, anche se il cuore… trema!!!” (Vismara)
Savina Majorano, Noviziato internazionale di Roma