Ricorre in queste settimane un importante centenario per la Chiesa cattolica in Cina e per quella universale: il Concilio di Shanghai (15 maggio – 12 giugno 1924), che segnò una svolta notevole sulla via dell’indigenizzazione e dell’inculturazione. Ne parliamo in questo numero, dando la parola a esperti e commentatori locali, mentre tra Milano, Roma e Macao la ricorrenza è al centro di alcune conferenze. Due anni dopo quell’evento, furono finalmente consacrati i primi sei vescovi cinesi e nel 1927 fu fondata a Pechino l’Università cattolica Furen (tuttora esistente a Taipei), nota per aver promosso la via cinese all’iconografia religiosa, attraverso la scuola artistica capeggiata dal pittore Luke Chen Yandu.
La svolta impressa dal Concilio di Shanghai è stata importante, ma tardiva e persino contrastata. Se i missionari erano disposti a dare la vita per i loro fedeli, non erano così generosi da permettere loro di assumere ruoli guida, facendo sì che a molti (inclusi Papa Benedetto XV e il nostro beato Paolo Manna) la Chiesa in Cina apparisse straniera più che cinese. Dopo Shanghai è stato finalmente possibile ai cattolici locali coniugare senza contraddizione fede e identità culturale.
L’abbiamo rilevato più volte: l’inculturazione è il faticoso processo ecclesiale che esprime, grazie alla libertà e alla creatività del popolo di Dio, come la fede non sia estranea ad alcun contesto umano. Oggi questo processo si interseca e si scontra, come abbiamo modo di mostrare anche in queste pagine, con la politica della sinicizzazione, che è invece un programma imposto dalle autorità.
Il nome ufficiale dell’assemblea fu Primo Concilio Cinese. C’era dunque l’auspicio che ne sarebbero succeduti altri. Come cent’anni fa, a Shanghai, la Chiesa seppe riunirsi e rinnovarsi, così oggi ci sarebbe grande urgenza che i cattolici di Cina e i loro pastori si riunissero liberamente, in piena comunione con il vescovo di Roma e la Chiesa universale, e fornissero una guida su tante questioni aperte. Sembra un auspicio troppo audace? Anche la visione che ispirò il Concilio di Shanghai lo sembrò a molti.
Quell’evento dice qualcosa anche alla Chiesa impegnata nel processo sinodale. L’assemblea dei vescovi di Shanghai (purtroppo, tutti stranieri!) fu chiamata Concilio. Concilio e Sinodo sono termini equivalenti (con origine rispettivamente latina e greca). Se oggi si tende dare un senso diverso ai due termini, in realtà nella vita del popolo di Dio ogni evento di partecipazione ecclesiale è animato dalla grazia battesimale ed è sostenuto dalla forza dello Spirito di Gesù risorto. Ogni assemblea dei discepoli di Gesù ha grande e pari dignità e può indicare vie nuove della missione della Chiesa.
Gianni Criveller, Mondo e Missione di giugno-luglio 2024