Cinquanta anni fa, il 26 giugno 1967, moriva don Lorenzo Milani. Di origine ebraica, appartenente a una famiglia borghese dell’intellighènzia laica – anticlericale – fiorentina, a vent’anni si convertì al cattolicesimo, diventò prete e si sforzò di vivere il Vangelo in modo radicale. Legò la sua vita e la sua azione pastorale alle lotte civili per una scuola democratica, per l’obiezione di coscienza e fu autore di testi dirompenti come Lettera a una professoressa, scritta insieme ai ragazzi e alle ragazze della scuola di Barbiana.
Don Milani e la scuola
Lo slogan I CARE che campeggia sulla porta d’ingresso, è il motto della scuola di Barbiana da lui fondata: “I care” significa mi sta a cuore, mi sento responsabile di tutto: fu inventato dai migliori giovani americani degli anni sessanta contro il disimpegno, l’evasione, l’egoismo.
La sua “battaglia culturale e sociale” non era legata a nessuna ideologia, ma era un servizio rivolto a tutti per turbare e scuotere le coscienze appiattite che vivacchiavano anche ai suoi tempi…! Don Milani nella storia degli anni 40 e 60, diventa suscitatore di forti contrasti. Indica i ritardi socio-culturali della Chiesa; critica l’uso e consumo della cultura da parte dei ricchi; scende in campo schierandosi coraggiosamente con gli obiettori di coscienza; scandalizza i benpensanti del tempo. In lui, brilla il binomio chiarezza e verità. Il Priore di Barbiana definisce la scuola una “scommessa di vita”: non nel senso dell’arrivismo, del protagonismo individuale, ma come una prova decisiva per “giocare alla pari” con gli altri i propri talenti.
Dalla cultura vuole far sgorgare verità semplici e comprensibili per combattere e sconfiggere l’ignoranza, per dare un futuro dignitoso a tutti i giovani! Ogni tema, ogni argomento è ritenuto utile per far crescere dal di dentro i suoi ragazzi.
Don Milani e i poveri
L’amore per i poveri e l’impegno per la giustizia sono alla base della vocazione di don Milani, come cristiano e come prete. Disse d’aver amato più i poveri che Dio stesso. Don Lorenzo trovò nell’esilio di Barbiana la povertà e l’emarginazione più profonda, se ne fece carico con dedizione e amore straordinario. Non come opera di carità, ma come impegno di vita volto a combattere le cause che feriscono gli ultimi. L’elemosina umilia chi la riceve e gratifica chi la elargisce. Chi ama veramente i poveri, invece, si batte ogni giorno per rimuovere le cause che provocano emarginazione sociale e umiliazione.
Don Milani e la fede
Aveva un grande senso religioso della vita, alimentato dallo studio della Parola di Dio. Capiva i segni dei tempi. Diceva che questi ultimi vanno considerati messaggi che Dio ci offre per meglio comprendere quale deve essere il nostro ruolo nella realtà che viviamo. Era fiducioso nella Provvidenza come dimostrano numerosi episodi tra cui l’accettazione del trasferimento a Barbiana senza nemmeno recarsi a fare un preventivo sopralluogo. “Tu sai che mi piace far guidare la mia vita da Dio anche nei più minuti particolari(…) Ti assicuro che senza questa premessa fondamentale dell’essere nel posto in cui ci han messo le circostanze e non in quello che s’è scelto non è possibile impostare religiosamente nulla: dalle decisioni più grosse fino ai più piccoli particolari della vita interiore e esteriore di ogni giorno”. Il suo obiettivo primario fu l’evangelizzazione. “Dio non mi chiederà conto del numero dei salvati del mio popolo ma del numero degli evangelizzati”.
Parole di Don Milani:
Per me sarebbe una umiliazione tremenda se uno mi domandasse:
Cosa stai facendo? Perché lo stai facendo? e dovessi restare senza rispondere.
Educo i miei ragazzi così, a saper dire in qualunque momento della loro vita,
cosa fanno e perché lo fanno.
La storia la insegna Dio e non noi,
e l’unica cosa cui ambisco
è di capire il suo disegno
man mano che egli lo svolge,
non ambisco a levargli il lapis di mano
e pretendere di diventare un autore della storia.
Testimonianza di Elena Cricelli, 29 anni
Don Milani: insegnante o testimone?
Ho conosciuto don Milani tramite le parole di un suo, allora giovane, studente incontrato a Barbiana e leggendo alcuni suoi appunti raccolti. Certamente don Milani è stato un uomo carismatico e appassionato e ha saputo condurre e coinvolgere i “suoi ragazzi” non solo tramite il suo insegnamento, ma con tutto se stesso. Credo sia vero che non esiste apprendimento che non passi dalla testimonianza. E nella testimonianza si dice di più di quello che si insegna, si propone una via, un esempio di vita, una direzione, un’educazione (parola che non mi piace molto). Senza maestro non esiste discepolo. Solo nella condizione di discepolo c’è apprendimento e non pura ripetizione. Credo però che attribuire all’insegnante un decisivo ruolo educativo, da maestro, sia rischioso. Non siamo tutti don Milani. Chiunque oggi provasse ad emulare il metodo di insegnamento di don Milani credo sarebbe destinato al fallimento ( Un esempio: per don Lorenzo l’intervallo era considerato un nemico per l’apprendimento ). Perché noi non dovremmo riuscire e invece don Milani sì? Perché don Milani era prima che un insegnante un uomo di fede, un sacerdote, consapevole che la sua vocazione era a 360° e gli chiedeva la vita intera. Secondo me l’insegnante di oggi non deve essere un “sacerdote”, così come la scuola non deve essere una “scuola di vita”. Il suo compito è quello di consegnare agli studenti gli strumenti per poter riconoscere e scegliere da sé il proprio maestro di vita. Credo sia già alto il compito dell’insegnante così descritto. E sia più adeguato guardare a don Milani per diventare grandi uomini prima che insegnanti.
Testimonianza di Francesca Locatelli, 33 anni
Una scuola inclusiva
Riflettere, oggi, riguardo al pensiero pedagogico di Don Milani rappresenta un’opportunità per realizzare una scuola inclusiva e attenta ai bisogni dei ragazzi. Tema centrale del suo pensiero e del suo agire erano infatti i ragazzi emarginati ed “abbandonati” dalla scuola perché socialmente poveri e per questo considerati intellettualmente inferiori. Don Milani si prese carico di questi ragazzi, insegnando loro in particolare la lingua italiana, per renderli autonomi nel comunicare e interagire nella società. Inoltre il suo metodo portava i ragazzi a studiare e lavorare partendo dal concreto della realtà quotidiana, al fine di acquisire un bagaglio di conoscenze, aderire alle necessità e alle risorse umane già presenti sul territorio. Don Milani considerava la scuola di Stato discriminatoria, selettiva e classista; lui, al contrario, rivalutava le culture alternative e rivalutava i ragazzi, osservandoli e agendo secondo i loro bisogni.
“La ricchezza degli uomini sta nella loro capacità di comunicare”. Dotare ogni uomo di questa capacità, vuol dire realizzarlo nella sua più intima potenzialità, nella relazione con gli altri, nell’essere.
La pedagogia di Don Milani era all’avanguardia e vedeva oltre, proponeva una didattica inclusiva, in cui ciascuno è partecipe e protagonista della costruzione del sapere, pienamente coinvolto nella relazione con l’altro. Anche oggi nelle nostre scuole notiamo la presenza di bambini/ragazzi più fragili che necessitano, forse più degli altri, dell’attenzione e dell’ascolto dei maestri; un ascolto che sia attento e sensibile nei confronti dei loro bisogni e delle loro potenzialità.
“La scuola è l’unica differenza che c’è tra l’uomo e gli animali. Il maestro dà al ragazzo tutto quello che crede, ama, spera. Il ragazzo crescendo ci aggiunge qualche cosa e così l’umanità va avanti”.