Quasi 45 anni or sono mi veniva offerto un lavoro come segretaria al PIME di Milano. Non capivo come mai si pensasse proprio a me che ero infermiera.  Mi fu chiesto di provare per tre mesi al termine dei quali avrei potuto riparlarne.  Terminati i tre mesi andai convinta dalla superiora per dirle che non avevo imparato neppure a infilare un foglio nella macchina da scrivere. Mi aspettavo un’altra proposta, invece, mi disse che sarebbe andata in chiesa a pregare per me.  Non mi sembrava certo il modo corretto di dialogare … ma quel giorno capii che avrei dovuto smetterla di lamentarmi e decisi che avrei fatto buon viso a cattiva sorte.

Così ebbe inizio il mio lavoro come segretaria di p. Piero Gheddo. Erano gli anni difficili del ’68; il clima in redazione era molto difficile, resistenze, opposizioni e parolacce anche tra i padri. Io non sopportavo quel modo di fare.  Padre Gheddo invece non si lamentava mai e mi diceva: beati i miti! “Ma li mandi al diavolo, padre”. “No, – sr. Franca – mandiamoli almeno in Paradiso!” – mi rispondeva”.
Mi vedevo molto diversa da lui, avevamo reazioni diverse davanti a fatti o a incontri comuni, ma credo di aver imparato da lui la tolleranza e il valore del porgere l’altra guancia.  Nonostante le nostre differenze abbiamo trascorso quasi 44 anni insieme.

Mi ha preceduto in Paradiso anche se avrei dovuto partire io prima di lui, viste le mie incontabili primavere: ma questa è stata la volontà del Signore. Forse ho ancora bisogno di convertirmi nel ricordo del bene che mi ha voluto e che ha voluto a tutte le persone che ruotavano intorno a lui.

Padre Gheddo mi ha insegnato ad accettare momento per momento quello che il Signore mi chiedeva, e ad amare tutti… perché se qualcuno mi offendeva avrei dovuto accettare l’offesa perché trovassero in me quella forza che a loro mancava.

Come uomo posso dire che il suo tratto era quello della gentilezza, della generosità e della mansuetudine.  Non diceva mai di no a nessuno e pur avendo tanti amici su cui contare aveva fiducia cieca nella Provvidenza.

Come giornalista diceva spesso… a chi gli gridava “fascista, venduto alla CIA”-  “Io scrivo non quello che volete udire ma quello che ho visto!” Infatti, nei suo innumerevoli viaggi voleva vedere e sentire da vicino. Non aspettava le notizie ufficiali ma entrava fin nei posti più difficili per amore alla verità e all’informazione.

Come missionario portava, innanzitutto, Gesù Cristo… sennò si sarebbe sentito un missionario fallito! La cultura per lui poi era fondamentale per lo sviluppo dei popoli. Ha promosso tanti incontri, anche qui in Italia, per far conoscere il valore delle persone che non contavano agli occhi dei grandi… ricordo gli incontri con Dom Helder Camara, Madre Teresa e persino Marco Pannella.

Moltissime persone lo hanno visto alla televisione e attraverso di lui hanno ravvivato la loro passione per la missione. Altri lo hanno conosciuto attraverso i sui libri, la terra di missione che il Signore gli aveva affidato per portare avanti le sue battaglie in favore della missione universale della Chiesa. Ma padre Gheddo credeva alla soprattutto alla preghiera, pregava e faceva pregare. “Così – diceva – il Regno di Dio cresce e si diffonde nei cuori”.

 

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