Non ci sono altre priorità nella Chiesa se non quella di vivere con consapevolezza la propria natura missionaria. Anche nel tempo del Covid.

Nel messaggio del Santo Padre per la Giornata missionaria mondiale leggo queste parole: «La missione, la “Chiesa in uscita” non sono un programma, una intenzione da realizzare per sforzo di volontà. È Cristo che fa uscire la Chiesa da se stessa. Nella missione di annunciare il Vangelo, tu ti muovi perché lo Spirito ti spinge e ti porta». Parole forti e precise che dicono la natura della Chiesa, lo scopo per cui Cristo ha voluto questa comunità, questo corpo vivo, fatto di uomini e donne che, spinti dallo Spirito, si muovessero a portare la gioia del Risorto, la bellezza della Sua presenza nel cuore di ogni persona in ogni angolo della terra.
Si fa interprete esemplare di questo invito imprescindibile di Cristo padre Deodato Mammana la cui intervista, nelle pagine seguenti, si chiude con queste parole: «Ma la Chiesa o è missionaria o non è Chiesa». Inutile girarci intorno, non possiamo volgere lo sguardo altrove, non ci sono altre priorità nella Chiesa se non quella di vivere con consapevolezza la propria natura missionaria.

La missione è fatta di incontri, di persone che si guardano negli occhi, si abbracciano, si ascoltano raccontandosi la propria vita che cerca Cristo nei meandri delle giornate. Senza questo incontro riconoscere la Sua presenza nella contraddittorietà del nostro quotidiano diventa impresa quasi impossibile, proprio perché Cristo ha voluto la sua Chiesa come un corpo che vive perché unito, perché le sue membra sono una a contatto dell’altra.

Oggi queste parole possono sembrare fuori posto, perché nell’era Covid è giusto e doveroso rimanere distanti, ma non possiamo non dirci che questa di­stanza ci sta facendo male, essendo un limite innaturale che tocca profondamente la nostra umanità e segna i nostri rapporti. Stiamo vivendo una carenza drammatica nei rapporti umani di cui fatichiamo a renderci conto; ancora non sappiamo dirci come il lockdown ci abbia segnato, quali ferite abbia lasciato. Siamo ancora in un momento di disorientamento; come nel risveglio dopo un’anestesia stiamo cercando di capire cosa sia successo e dove sia localizzato il dolore.

In tutto questo la Chiesa dov’è? Verrebbe da dire che è nascosta dietro le mascherine e le sedie ben distanziate che segnano le nostre celebrazioni in cui, come in poche altre situazioni, il rispetto delle norme è rigidissimo. Ma questo modo di celebrare tocca proprio il corpo della Chiesa, il suo essere corpo di Cristo; un corpo con membra distanziate. Per quanto potremo continuare così? Per quanto ci incontreremo in modo regolato e contingentato senza lasciar fluire la vita naturalmente, con il suo carico di rischio e di fascino insieme? Quello che leggeremo nelle pagine che seguono e in particolare il racconto dell’esperienza missionaria di padre Deodato siano di stimolo a ognuno di noi, a ogni comunità per non sedersi ripiegati e chiusi dietro una mascherina, pronti ad andare, a incontrare nonostante tutte le fatiche e i rischi possibili, perché, anche se barcollante, la Chiesa è Chiesa solo quando esce e incontra l’uomo là dove lui è.

p. Mario Ghezzi – PIME, da Mondo e Missione 8/2020 – ottobre

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