La seconda Conferenza generale dell’Episcopato Latino-Americano (CELAM), il cosiddetto piccolo Concilio di Medellin tenutosi nella città colombiana nei mesi di agosto e settembre 1968 si era proposto di elaborare alcuni documenti che servissero di guida per applicare il Concilio Ecumenico Vaticano II nel particolare momento storico di quel continente. Parteciparono all’Assemblea di Medellín 249 persone: 145 vescovi, 70 presbiteri, 10 religiosi, 19 laici e 9 osservatori. Diversamente dalla Conferenza di Rio de Janeiro (1955), vi fu partecipazione di persone diverse dai vescovi e il Documento fu pubblicato immediatamente nell’Assemblea, senza la supervisione di Roma. Altri tempi.

Per la realizzazione dell’Assemblea si adottò, come metodologia di lavoro, il metodo vedere-giudicare-agire. L’ottica di fondo era data dalla prospettiva liberatrice, che rompeva con la posizione dominante centrata sullo sviluppo, ponendo le basi della futura Teologia della Liberazione. Senza nascondere una profonda preoccupazione per la logica divoratrice dei populismi attuali e la deriva autoritaria che può innescarsi, riportiamo le opinioni di alcuni teologi che a 50 anni di distanza rileggono l’evento “Medellin”,  una vera Pentecoste per la Chiesa Latino Americana!

Una ricezione creativa del Vaticano II

Il teologo brasiliano Agenor Brighenti, professore dell’Universita Cattolica di Curitiba, ha sottolineato che: «La forza e l’attualità di Medellín stanno nell’audacia di una “ricezione creativa” del Concilio Vaticano II, nel contesto particolare della Chiesa in America Latina. L’episcopato latinoamericano, in verità, fino ad allora abituato ad una posizione di mimetismo rispetto alle decisioni di Oltremare, poco aveva contribuito all’evento conciliare. Tuttavia, l’attiva partecipazione al Vaticano II, oltre a favorire una maggiore integrazione fra i suoi membri, permise a questi di far ritorno a casa imbevuti del suo spirito. Tant’è che i vescovi dell’America Latina furono i primi al mondo a dare un volto proprio alle loro Chiese locali. Per loro, concluso l’evento conciliare, non si trattava semplicemente di realizzare il Vaticano II, bensì di recepirlo in forma contestualizzata, cercando di collocare “la Chiesa nell’attuale trasformazione dell’America Latina alla luce del Concilio”, secondo quanto attesta il titolo del Documento di Medellín.

A Medellín riecheggiò il grido di sofferenza dei poveri, smascherando il cinismo dei soddisfatti. Nell’ottica dei poveri, a Medellín, i vescovi si proposero di aiutare a rispondere a quattro sfide principali del Subcontinente: 1) la fede cristiana di fronte al grave fenomeno della povertà che minacciava la vita di gran parte della popolazione; 2) lo sviluppo di un’azione evangelizzatrice che arrivasse ai settori popolari e anche alle strutture di potere; 3) la promozione di una liberazione integrale, che coniugasse simultaneamente cambiamento personale e cambiamento delle strutture; e 4) la promozione di un nuovo modello di Chiesa, autenticamente povera, missionaria e pasquale, slegata da ogni potere temporale.

Liberazione come promozione umana

Per la teologa italiana Michelina Tenace la novità di Medellin sta nella sua eredità, quella del CELAM stesso e la possiamo ritrovare nella Provvidenza che ha dato alla Chiesa un Papa latinoamericano che viene da quella terra, da quella formazione, da quella profezia, da quel linguaggio. La sua testimonianza e il suo Magistero sono segni della sua sensibilità ereditata e coltivata dal di dentro del CELAM divenuto oggi, il Magistero della Chiesa universale.

La TDL rimarrà come lo specifico del contributo dell’AL pur con una nota critica e pur non essendo nuova, nonostante il vento impetuoso e passionale latinoamericano. L’annuncio cristiano è di per sé un messaggio di liberazione non in superficie ma nella sua radice che è il peccato denunciandolo lì dove si manifesta. Il teologo è un mediatore tra Dio e il suo popolo dovrebbe interpreta il grido del popolo non libero e senza voce e interpretare l’annuncio che Dio rivolge al suo popolo senza orecchio, chi opprime e chi è oppresso, per riportare gli uni e gli altri nella comunione fraterna. Giovanni Crisostomo morto nel 407 è l’antenato della TDL. L’antenato della lotta a difesa dei poveri contro chi, professando la sua fede cristiana, accumulava ricchezze a danno dei più poveri.

Ma il teologo non è stato sempre e dovunque impegnato. C’ è stata una teologia che si è occupata di pensare Dio e il mondo con categorie astratte e lontane dalla vita.  E’ stato questo il rimprovero di Karl Marx alla filosofia che noi possiamo applicare alla Teologia.  Medellin ha richiamato l’attenzione di tutti verso una teologia che non cambia il mondo: la teologia che non pensa di cambiare il mondo è una teologia inutile.

Una Chiesa pasquale

Per il teologo argentino Carlos María Galli «La Conferenza dell’episcopato latinoamericano riunito a Medellín nel 1968 accentua la dimensione profetica e mostra il volto di una Chiesa pasquale, impegnata nell’opzione preferenziale dei poveri. Il pontificato di Francesco è un nuovo inizio del processo conciliare e riaccende la riforma della Chiesa iniziata a Medellín come Chiesa della frontiera, che riparte dalle periferie. Francesco è il primo Papa latinoamericano che mostra la fine dell’euro-centrismo ecclesiale».

La storia luogo teologico

Per padre Gustavo Gutierrez, domenicano peruviano e tra i fondatori della Teologia della Liberazione, sottolinea che «l’irruzione del povero è l’irruzione di Dio. Dobbiamo ascoltare l’essere umano dal basso. Per questo Medellín è parte dell’innovazione ecclesiale iniziata con il concilio Vaticano II, la storia e la liberazione integrale dell’uomo e della donna diventa luogo teologico».

Forgiare l’Uomo Nuovo

Il gesuita venezuelano Pedro Trigo, membro del centro di ricerca sociale Gumilla di Caracas scrive: «Nella conferenza di Medellin i vescovi latinoamericani denunciano il peccato strutturale che configura un ordine sociale che rifiuta dio, perché’ non vengono garantite le necessita, i bisogni e i diritti di base del pueblo, l’oppressione delle multinazionali non garantiscono salari dignitosi agli operai nel 1968 come oggi. Il dinamismo pastorale nasce dalla coscientizzazione del popolo a partire delle organizzazioni popolari di base. I vescovi come tutti i cristiani devono impegnarsi a favore della giustizia e della pace, per liberare gli oppressi e forgiare l’Uomo Nuovo, veramente libero. Di fronte al fallimento sia del capitalismo che del socialismo, serve un nuovo progetto di partecipazione fraterna dei popoli, soggetto di una società partecipativa senza esclusione, rompendo dipendenze e assistenzialismo, dove il popolo sia agente di sviluppo umano, promotore della liberazione che nasce dal vangelo. Oggi in Venezuela la gente soffre la fame e questo affetta la libertà. Io come teologo e ricercatore guadagno meno di un moto taxista, ma questo è il mio punto di osservazione della realtà. Bisogna mantenere sempre una relazione mutua e di impegno popolare con il popolo».

di sr. Agnese Costalunga, Brasile Sud

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