Ogni anno molti giovani decidono di mettersi in gioco con il cammino di Giovani e Missione, un percorso di due anni che prevede una breve esperienza in missione. Più che un viaggio all’estero è un itinerario alla scoperta di sé e di ciò che conta davvero, un’opportunità per lasciarsi interrogare dalle domande belle e importanti che muovono alla ricerca del senso della vita.
Alcuni dei giovani che sono partiti in missione quest’anno hanno voluto condividere con noi quello che ha cambiato il loro sguardo verso l’accoglienza, l’amore, la gioia, la povertà, il sacrificio, la vocazione… e molto altro. Durante il mese missionario pubblicheremo ogni settimana le loro riflessioni.
Cristina, Camilla e Anna – Bangladesh
Se pensiamo al concetto di accoglienza che avevamo prima della missione, ci vengono in mente le nostre comunità abbastanza individualiste, in cui ognuno è nella propria casa, a vivere la propria vita e se arriva qualcuno di esterno alla comunità, non tutti se ne accorgono. Se accogliamo qualcuno in casa, la nostra prima preoccupazione è di far trovare all’ospite una casa accogliente, dando importanza alla pulizia, all’ordine e alla preparazione del cibo, a quello che mostriamo di noi, al giudizio dell’ospite e alla “perfezione” che vorremmo avere.
Durante la missione, abbiamo fatto esperienza di un’accoglienza comunitaria, colorata, fiorita, calorosa e gioiosa. L’intera comunità coopera e dona fiori, prepara canti e danze per accogliere l’ospite al meglio.
Quando si va in visita alle famiglie, quest’ultime preparano sempre qualcosa secondo le proprie capacità e non si preoccupano dell’apparenza della loro casa, ma solo di far star bene l’ospite, donando il meglio di cui dispongono. Ci sono loro e ci sei tu, senza tanti fronzoli, senza il desiderio di perfezione, ma con la gioia e la gratitudine nel cuore. Tutto questo ti fa sentire davvero speciale, ben voluto tra loro e ti fa amare profondamente ogni petalo di un fiore, ogni nota di una musica e ogni sorso di tè offerto.
Sara Giacobbo e Stella Giani – Manaus
Ci siamo sentite fin da subito accolte e abbiamo trovato ovunque persone che avessero voglia di prendersi cura di noi. Abbiamo sperimentato un calore famigliare nonostante la lontananza da casa e siamo stati integrati nella quotidianità di persone dalla cultura stupenda. Abbiamo sperimentato per la prima volta la convivenza con persone sconosciute e con le Missionarie dell’Immacolata dove siamo state custodite in comunità accoglienti e pronte ad amarci come delle figlie.
Le nostre comunità in Italia a volte sono più chiuse nei confronti del diverso, faticano con la novità mentre qui c’è volontà di arricchire sempre di più la propria cerchia con nuove persone.
Alessandro – Bangladesh
Ho sempre ritenuto l’amicizia un valore davvero inestimabile, un legame speciale da custodire e di cui fare tesoro. L’esserci per l’altra persona, il prendersi cura e il pensiero di condividere un legame intenso e intangibile è ciò che rende l’amicizia unica.
Attraverso la Missione in Bangladesh, il valore dell’amicizia non ha fatto che crescere: lì per i ragazzi ci chiamavano “fratello”; nonostante non ci conoscessero, hanno aperto fin da subito i loro cuori e si sono fidati di noi, superando l’amicizia, giungendo alla fratellanza.
Anche i legami con i miei compagni di missione si sono rafforzati. L’aver condiviso una esperienza così intensa emotivamente mi ha legato in maniera definitiva a Emanuele, Giovanni e Luca. Ciò che provo adesso per loro è una riconoscenza immensa e un affetto incredibile; un tipo di affetto che va oltre l’amicizia. Per me adesso, loro tre sono dei fratelli, come abbiamo visto in missione, infatti, per essere fratelli non serve un legame di sangue.
Martino Brivio – Ciad
Amicizia, che parola importante e semplice allo stesso tempo; un mese di convivenza mi ha permesso di conoscerne più in profondità il significato.
Non è semplice simpatia o rispetto, come a volte mi capitava di credere prima di partire con il cammino di giovani e missione: è molto di più. L’ho scoperto prima di tutto attraverso il rapporto con il mio compagno di missione e amico Tommaso.
Ho vissuto tante diverse sfumature dell’amicizia, come allungarsi una mano, scontrarsi, confrontarsi, non riuscire a capirsi o a condividere una scelta, per poi ringraziare l’altro per aver insistito e averci fatto cambiare idea, giocare, ridere e rattristarsi, rispettare i tempi dell’altro e, viceversa, rallegrarsi quando l’altro rispetta i nostri, riuscire ad alternare momenti di scherzo a momenti più intimi e seri. La lista potrebbe andare avanti ancora per molto…
C’è però un momento speciale in cui sento di richiamare tutto quello che la missione mi ha dato di vivere in termini di amicizia, un’abitudine che abbiamo preso insieme e che continuo a portarmi nel cuore anche adesso che sono tornato in Italia: la buonanotte. Ogni sera quando ci mettevamo a letto, prima di addormentarci (allontanando per quanto si potesse la fatica della giornata), passavamo una decina di minuti a condividere incontri, esperienze e pensieri sulla giornata, poi alternandoci ogni sera, a turno, uno dava la buonanotte all’altro, un summit della giornata da portare nel cuore, e l’altro rispondeva ringraziando, un grazie sincero e sentito, perché dove c’è apertura e condivisione, c’è amicizia.
Johnny Araldi – Messico
Questa esperienza in missione mi ha ricordato che l’amicizia è gratuita e quanto è bello che lo sia. Che non serve nessun requisito speciale per essere accolto e voluto bene da persone mai conosciute, come magari pensavo alla vigilia della partenza. Questa sensazione l’ho percepita grazie ai bambini che mi e ci regalavano tanti gesti d’affetto, nonostante li avessimo appena conosciuti e senza che noi avessimo fatto chissà cosa per meritarli. L’ho percepita anche grazie ai compagni di missione, alla loro solidarietà nei momenti in cui l’intestino è stato messo a dura prova.
Da questa esperienza anche il mio sguardo sulla fede è cambiato: vorrei fosse prima di tutto una fede nelle relazioni, nelle persone; una speranza che le cose, i rapporti possano sempre cambiare, migliorare, così come Gesù stesso è cambiato nel corso del Vangelo, rivolgendo la sua missione non più solamente al suo popolo, ai giudei, ma in seguito anche ai pagani, a tutti i popoli del mondo. E posso dire che prima della missione non avevo mai pensato a un Dio che cambia idea.