Un progetto per adolescenti che adotta processi educomunicativi per avvicinare le nuove generazioni ai media e alla realtà a partire da una prospettiva critica, costruttiva, protagonista e cristiana. Perché non evangelizzare così?
Un gruppo di 20 ragazzi, dagli 11 ai 16 anni che si incontrano tutti i sabati per tre mesi. Sei educatori, tra psicologi, comunicatori e fotografi che, con entusiasmo e passione, si mettono a loro disposizione perché imparino attraverso la fotografia un modo nuovo di scorgere la realtà in cui vivono. Questo è il progetto Olhar Jovem (Sguardo Giovane), appena nato per offrire una proposta educativa originale agli adolescenti di Vila Missionaria, un quartiere situato nella periferia di San Paolo dove non mancano problemi come droga, violenza e disuguaglianza sociale. Il progetto fa parte delle proposte del Centro di Formazione Irmã Rita Cavenaghi, costituito nel 1996 come entità no-profit per servire le famiglie del quartiere e sviluppare il protagonismo e la cittadinanza responsabile, in particolare di donne e minori.
Tra gli obiettivi del progetto, quello di imparare uno “sguardo giovane” verso la realtà e sviluppare una sensibilità che osserva con attenzione il quotidiano per dare valore alla vita. Il metodo utilizzato quello dell’educomunicazione, una nuova area che unisce educazione e comunicazione e che lavora con uno stile partecipativo. L’educomunicazione va oltre l’insegnamento tecnico di nuove tecnologie e offre un nuovo modo di educare e imparare a leggere il mondo da cittadini protagonisti. In un contesto in cui il sapere è disperso e frammentato e circola fuori dai luoghi sacri nei quali anteriormente era circoscritto e lontano dalle figure sociali che lo amministravano, l’educomunicazione si presenta come un’alternativa al sistema educativo tradizionale che si trova in difficoltà in questo nuovo scenario. Un’alternativa che offre la possibilità di imparare insieme e di condividere il sapere in forma circolare. In questo modo i protagonisti della propria educazione sono gli alunni stessi e gli educatori sono i mediatori che indicano il cammino dove imparare.
Abbiamo lavorato sulle relazioni tra di loro, sulla responsabilità di un lavoro in gruppo, con incarichi diversi per ciascuno, abbiamo affrontato con creatività anche il tema delle emozioni, tutto con una macchina fotografica o un cellulare, ma soprattutto educando lo sguardo verso una sensibilità ai dettagli del quotidiano, della realtà che spesso banalizziamo, ma che costruisce i nostri giorni, settimane, mesi…
Una soddisfazione vedere il risultato, non tanto del prodotto finale del corso, una mostra fotografica, ma soprattutto di quanto gli adolescenti abbiano imparato oltre le impostazioni tecniche per scattare una buona fotografia. Jennifer ha imparato la comprensione e la responsabilità di un lavoro di equipe, José Carlos a non rinunciare anche quando la sfida sembra troppo difficile, Viviane si è dovuta allenare nella pazienza per aspettare il momento favorevole allo scatto fotografico, Samara si è meravigliata nel vedere come fatti e situazioni scontate possono diventare una foto significativa. Tra gli atteggiamenti più sottolineati dai ragazzi sono emersi: attenzione, comunicazione, capacità di raccontare una storia, solidarietà, amore, difficoltà, disponibilità ad imparare.
Mi sono chiesta: “Perché non evangelizzare così, nell’era della comunicazione?” per sfruttare tutti gli aspetti positivi dei mezzi di comunicazione e educare, allo stesso tempo, ad uno sguardo critico verso quei contenuti a cui siamo esposti che vanno contro i valori del Vangelo e ci rendono insensibili all’umanità.
Il Direttorio della Comunicazione della Chiesa in Brasile indica l’educomunicazione come prospettiva di attuazione dialogica e comunitaria in varie aree tra cui la catechesi, la liturgia, la pastorale (n. 67-77)… e perché no anche l’evangelizzazione?
Il dono del discepolato è quello di essere un comunicatore, dice ancora il direttorio. Facendo esperienza della missionarietà, la comunicazione della buona notizia diventa vita, non ripetizione, testimonianza e non informazione (n. 57).
Aiutare adolescenti e giovani a saper leggere la realtà in cui vivono attraverso i media e a saper comunicare rispetto, cittadinanza, amore, comunione con i media è un modo di evangelizzare.
Questa piccola esperienza positiva mi ha insegnato che è possibile. Posso riassumerla in tre parole: Stupore nel costatare quanto gli alunni hanno imparato oltre alla fotografia che è diventata solo un mezzo per educare ad uno sguardo attento alla realtà quotidiana e una maggior sensibilità verso gli altri. Sfida, quando ho percepito che quanto volevo realizzare in questo primo progetto educomunicativo non era alla nostra portata, così ho dovuto modificare un po’ la meta. Passione, perché il dialogo continuo con alunni e educatori e le numerose risposte positive ha alimentato ancora di più la passione missionaria e il desiderio di percorrere questo cammino di evangelizzazione.
Così ripartiamo nel secondo semestre con nuovi corsi del progetto Olhar Jovem e nuovi adolescenti che saremo contenti di raggiungere donando tutto quello che possiamo perché abbiano un futuro pieno di vita e speranza e soprattutto con un sguardo attento, aperto, sempre giovane.
Sr. Emanuela Nardin, provincia Brasile Sud
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