La notte del 6 Marzo, il ciclone è passato e ha lasciato il segno. Un segno evidente e profondo anche a distanza di mesi. Gli alberi centenari sradicati come se le radici fossero state di carton gesso, le lamiere divelte come se fossero state semplici lenzuola stese sulla case. Gli orti spazzati via per lasciare spazio ad acquitrini e pozze stagnanti.
Tutto parla di devastazione e fine… ma solo in apparenza.
Nonostante la forza e la brutalità ostentata dal ciclone, non si è contata nessuna vittima. Il ciclone passando di notte non ha incontrato né i numerosi studenti delle scuole presenti sul territorio, né qualche paziente diretto all’ospedale per ricevere assistenza, né gli abitanti dei villaggi, come nessuno dei missionari presenti lì. La gente ha avuto il tempo necessario per ripararsi in strutture solide.
Arrivata sull’isola con altre tre suore in visita, dopo due mesi, mi accorgo subito di come il paesaggio abbia cambiato fisionomia. Impressiona vedere come tutto possa cambiare nel giro di un’ora. Anche se una cosa non è cambiata: il sorriso e la voglia di vivere della gente. Dopo un disastro del genere, sarebbe facile aspettarsi di trovare nelle persone uno sguardo triste, serio, demoralizzato. Al nostro arrivo, invece, girando per i villaggi, il primo segno che ci ha accolto è stato il sorriso della gente, un sorriso fatto di speranza operosa, che si rimbocca le maniche, che non vuole lasciare al ciclone l’ultima parola.
Come può essere? La posizione di un missionario che si sta inserendo in terra di missione è proprio un punto di vista speciale, prezioso, per osservare gli usi e i costumi, le motivazioni e le ragioni di un popolo. Ed è da questo punto di vista che posso dire senza esitazioni che la roccia solida in questi momenti è stata la fede, roccia su cui si sono appoggiati quella notte e su cui ora fanno leva per il tempo della ricostruzione. Ricostruire, voce del verbo CREDERE. Fede che si esprime nella voglia di sperare, di ricostruire e di ricominciare là dove, in altri momenti e forse in altri luoghi, si sarebbero radicati piuttosto il fallimento, la disperazione, la recriminazione…
Un segno tangibile e anche prodigioso che Qualcuno non si è dimenticato della gente di Watuluma durante quegli attimi, è la cappella della Madonna vicino all’entrata dell’ospedale: un grosso albero di mango è stato sradicato e diviso in due parti, di cui una metà è caduta a destra e l’altra a sinistra … nessun segno di sfregio sulla grotta. Maria ha dimostrato che Lei era lì, presente, a salvare le vite dei suoi figli. Tecnicamente, infatti, quell’albero doveva cadere proprio dritto sulla cappella, considerando la traiettoria della caduta degli alberi accanto…
Segni, grandi e piccoli, di come la fede stia aiutando gli abitanti di Watuluma a ripartire, a sperare, a vivere. Segni che educano gli occhi e il cuore anche di noi missionari, a cui è stata data la grazia grande di conoscere e accompagnare un popolo…
Sr. Chiara Colombo – Provincia Papua Nuova Guinea