Sono in Camerun da meno di quattro anni, ma posso dire di non aver mai viaggiato così tanto dentro e fuori di me come negli ultimi due anni. Da quando sono a Yaoundé, infatti, quasi senza accorgermi, si sono aperte tante possibilità di collaborazione formativa che mi hanno portato a prendere contatto con diverse Congregazioni, carismi, giovani e meno, uniti dal desiderio di conoscersi per meglio donarsi a questa nostra Chiesa del Cameroun.

La possibilità di poter dare servizio in rete è arrivata un po’ per caso, dalla fortuna di trovarsi in missione con ex compagni di classe che, consapevoli del bisogno di formazione, hanno da subito lanciato la proposta di mettersi a disposizione al di là della propria Congregazione e, come si dice, da cosa nasce cosa.

Inizialmente, di fronte alla realtà del lavoro in rete, mi sono sentita abitata dalla paura di snaturare la missione, dopo anni di attesa, infatti, attendevo la missione “classica” fatta di villaggi, di annuncio esplicito della Parola, di aiuto verso i piccoli, attività che cerco comunque di mantenere, ma che non possono avere il tempo immaginato quando si comincia a essere “reperibili” ai bisogni che ti si presentano lì dove sei.

La tentazione è di donarsi in parte, vorresti riservare un po’ di spazio per la “tua missione”, un altro per il bene che puoi fare per la “tua Congregazione” e quindi essere un po’ a disposizione della Chiesa e questo è anche il rischio che noi Missionarie dell’Immacolata, come Congregazione, sentiamo quando arrivano proposte che aprono le porte a metterci semplicemente e pienamente a servizio del corpo apostolico che è la Chiesa, che è il mondo stesso. Ci si sente povere, impaurite a volte, la mancanza di vocazioni ci spaventa e dunque si teme di cedere la manciata di farina che ci resta per fare qualcosa di buono in missione.

Nella mia esperienza ciò che mi ha dato coraggio di assumere è stato appunto poter collaborare con altre forze ecclesiali non a mio nome, ma come Missionaria dell’Immacolata, sapendo che la collaborazione donata fa parte di un progetto di tutta la Provincia e che il senso di appartenenza invece di diminuire si fortifica.

Il primo anello della rete ed il primo SI è stato del tutto naturale perché è venuto da una richiesta del PIME, sia per una mia piccolissima partecipazione al Centro Edimar con i ragazzi di strada, che soprattutto per un lavoro di formazione rivolto ai seminaristi. Il seguito è stato un passa parola che mi porta ad assumere giornate di formazione per novizi, religiosi/e di tutto il paese su diverse tematiche, fino ad arrivare a febbraio scorso, quando abbiamo accolto la richiesta di entrare nell’equipe permanente dei formatori della Conferenza dei Superiori Maggiori del Camerun. In questa equipe ci occupiamo di organizzare un corso di quattro mesi residenziali, suddivisi in due anni, per preparare i formatori locali ad assumere il loro ruolo con più competenza e creando una rete tra loro che permetta di avere una piattaforma formativa capace di donare relazioni e riflessioni ai formatori che spesso si trovano soli nella loro missione. L’equipe è internazionale ed è formata da 3 religiose di cui una camerunense, una congolese, me italiana ed un padre claretiano burkinabé. Una scelta mirata della Conferenza, non solo per completarci nelle diverse esperienze e competenze, ma soprattutto per garantire l’apertura ad un volto ecclesiale multiculturale. Non a caso tra i 35 partecipanti di quest’anno vediamo oltre ai colori del Camerun, quelli del Centrafrica, del Congo, della Polonia, del Brasile, del Gabon, della Nigeria e del Tchad.

In poco tempo mi sono resa conto della grande opportunità ricevuta e sento veramente la Grazia di sentirmi parte della Chiesa con una coscienza nuova, spesso mi ritrovo nel mezzo di condivisioni che toccano conflitti dimenticati al mondo e nei quali ci sono persone che si giocano la vita per potersi formare e donare quel qualcosa in più alle nuove generazioni, altre volte mi sento convocata e provocata ad un cambiamento richiesto nelle relazioni tra chiese di “nuova” e “antica” evangelizzazione, come se la fiducia donatami diventasse missione per farsi porta parola nella mia chiesa d’origine, nella mia Congregazione; altre ancora mi accorgo come queste relazioni di fiducia, di fraternità mi aprono alla conoscenza e all’amore di culture che nascondono dei tesori spesso ancora troppo nascosti.

Ultimamente mi ritrovavo a celebrare l’Epifania in mezzo ad una quarantina di novizi e novizie, tra i canti e le danze del loro paese mi sono sorpresa interiormente figlia di questa Chiesa che si rivela, che sogna, e che può donare ancora tanto in un’umanità condivisa.

Sr. Daniela Migotto, provincia Camerun

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