Sono brasiliana, di etnia Guarany, nata a Jardim, capitale del Mato Grosso del Sud. Devo alla mia famiglia, in particolare a mia madre, alla scuola e alla parrocchia, la mia scelta di consacrazione missionaria. La sera mia mamma non permetteva a nessuno di andare a letto senza aver pregato il rosario e ascoltato una delle storie della Bibbia.

La scuola mi ha aperto il cuore e la mente: all’età di 9 anni, approfondendo la storia della tratta degli schiavi in Brasile avrei voluto fare subito qualcosa per loro, anche se non sapevo come. E’ qui che ho conosciuto le Missionarie dell’Immacolata: un gruppo di novizie, infatti, accompagnate da sr. Luciana Senes, era venuto nella nostra parrocchia per animare le comunità rurali durante la loro esperienza apostolica. Nella parrocchia, guidata dai Padri del Pime, mi occupavo del giornalino parrocchiale, in particolare della pagina dedicata ai giovani. “Missionari ieri, oggi e domani!” era il titolo, e scrivevamo esperienze su come essere missionari nella comunità, impegnandoci poi a vendere il giornalino nelle case. La parrocchia era la mia seconda casa, era il mio modo di essere missionaria. Posso dire che ho sempre rimandato una risposta alla chiamata di Dio, anche perché mi sembrava che la mia presenza in famiglia fosse indispensabile, poiché mamma era spesso ammalata. A 30 anni però mamma mi disse che la vocazione non era né mia né sua: era di Dio! Queste parole mi diedero il coraggio necessario per lasciare tutto e partire.

Non è stato facile, né per me, né per le suore che mi hanno accolto a San Paolo: vista la mia età, infatti, mi misero spesso alla prova per verificare la mia reale disponibilità… Ma alla fine sono stata ammessa alla professione e ho lavorato nelle comunità così come sognavo. Completati gli studi di pedagogia, nel 2011 sono partita per la Guinea Bissau! L’impatto con quella terra sono stati il caldo e l’umidità, che mi toglievano il respiro. Ero però contenta che la Guinea fosse la mia missione: si realizzava finalmente quel desiderio di poter fare qualcosa per gli africani. Ho imparato a gustare i cibi e le danze, il pianto e l’allegria di questo popolo.

Anche la lingua è stata uno scoglio, resistevo a parlare in pubblico. Un giorno però una sorella mi ha lasciata sola di proposito a parlare al gruppo giovani. Quel giorno la mia lingua si sciolse. Venni così inviata alla comunità di Bissorà, una piccola cittadina povera e priva di ogni struttura comunitaria. Il lavoro delle nostre suore, mi sorprendeva: la formazione della donna, l’attività nelle scuole, la cura per gli orfani tra animisti e musulmani. Non posso dimenticare Junior, un giovane 18enne obbligato dal padre a seguire i rituali animisti, basati spesso sulla paura. Seguiva le nostre catechesi con interesse. Un giorno mi chiese il rosario: voleva sfidare il padre con la forza della Madonna. Era forte dentro di lui l’appello del 4° comandamento con l’invito ad onorarlo, ma riuscì tuttavia a dirgli che stava percorrendo un cammino di libertà che metteva Dio al di sopra di tutte le cose. Il gruppo dei catechisti si era unito in preghiera per lui più volte: oggi Junior partecipa attivamente alla comunità ed è stato per me il trampolino di lancio nella missione a Bissorà.

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