La relazione di suor Maria Elena Boracchi, missionaria dell’Immacolata, al convegno tenuto il 10 giugno 2022 a Ducenta (Ce) in occasione del centenario del locale seminario missionario.
In questa bella e importante ricorrenza dei cento anni di fondazione del Seminario di Ducenta, mi sento onorata per l’opportunità di ricordare, celebrare e presentare la figura di padre Manna parlando della spiritualità missionaria come lui l’ha espressa da anima infuocata qual era, per usare l’espressione del suo amico e biografo padre Tragella, riferendosi alla convinzione e alla passione con le quali ha espresso e trasmesso l’ideale missionario ai padri del pime direttamente e anche a noi Missionarie dell’Immacolata, accompagnando con tanta discrezione e libertà di cuore i primi passi della nostra fondazione.
Le nostre fondatrici, Giuseppina Dones e Giuseppina Rodolfi, hanno ricevuto da padre Manna e hanno trasmesso al nostro istituto la consapevolezza di essere missionarie “nel vero senso della parola” (3/6/1929 Rodolfi a Manna); come padre Manna considerava i suoi missionari dicendo «missionari nel senso più vero, più alto, più completo della Parola» (VA circ. n. 18/2). Dunque “essenzialmente, esclusivamente missionari e missionarie”. Al suo tempo non era scontato – ed era una cosa grande – che padre Manna ci pensasse così, fino ad essere prudente per esser sicuro che la congregazione femminile nascesse esclusivamente missionaria, non “sussidiaria”, come erano le congregazioni che affiancavano il pime nella missione.
Per rispondere alla proposta che mi è stata fatta per questo intervento cercherò di delineare alcuni aspetti della spiritualità missionaria di padre Manna, in dialogo con l’oggi della missione e con l’oggi del carisma delle missionarie dell’Immacolata. Sarebbe necessario richiamare le coordinate essenziali della sua biografia e far riferimento alla sua produzione giornalistica e editoriale ma non mi è possibile; spero si possa intuire in ciò che dirò almeno i riferimenti essenziali.
Mi piace iniziare ricordando l’ispirazione che a me sembra essere il cuore della vita spirituale di padre Manna e del suo ideale missionario: il vivere con fede e perseveranza per l’unum necessarium; l’unum necessarium è un’espressione che ricorre molte volte nei suoi scritti più importanti per dire l’unica cosa per la quale si è speso nella sua vita. Unum est necessarium!: qual è la sola cosa necessaria? Che Dio regni, non solo su pochi privilegiati, ma su tutti gli uomini della terra. Da questa premessa dipende il senso dell’apostolato.
Nella prima parte della mia relazione seguirò il formarsi e il crescere dell’UNUM NECESSARIUM come programma di vita nel trascorrere del tempo.
Nella seconda parte approfondirò alcune caratteristiche della spiritualità di padre Manna che gli hanno permesso di perseverare in questo ideale missionario.
Inizio la prima parte della mia esposizione dicendo che l’unum necessarium ha impresso alla personalità di padre Manna, alla sua opera, alla sua ricerca un carattere di unitarietà e di solidità molto evidente. Forgiato dalle prove causate dalla sua salute cagionevole, spesso è stato costretto a cambiare i suoi piani e ad affrontare fatiche che senza questa profonda convinzione non avrebbe potuto sostenere. L’unum necessarium è la sua spiritualità, un modo di vivere il Vangelo, uno stile di vita, un modo di leggere la realtà, di verificare la missione sul campo, un criterio – insomma – per osare anche cambiare metodi missionari: la missione deve servire l’unum necessarium e, a partire da esso, comprendere ciò che non può mancare, distinguendolo da ciò che è relativo, nei contenuti e nella prassi; dunque un metodo di discernimento; detto con le sue parole: «bisognerà distinguere con larghezza e precisione quello che è essenziale e quello che è accidentale nella Religione».[1]
● Come prende forma questo ideale nei suoi anni giovanili? Egli fa tesoro di esempi di vita e dimostra una bella capacità di aprire il suo cuore ad alcune figure di riferimento: bellissimo il suo rapporto di fiducia con Mons. Scurati[2] documentato da un interessante carteggio, nel periodo finale del suo discernimento vocazionale e poi nei primi anni di missione; degna di nota l’ammirazione affettuosa per Mons. Tornatore che egli chiama “il mio vescovo” in Birmania…questi contatti, queste relazioni umanamente e spiritualmente significative, hanno alimentato in lui una chiarezza circa il suo ideale di vita, come si intuisce in una lettera allo Scurati: «In salute sto benissimo, voglia il Signore conservarmela a lungo, perché desidero fare qualche cosa per Lui. – Ed ecco il suo pensiero sull’unum necessarium – Ormai non ho altro desiderio, non altra aspirazione che non sia l’estensione del Suo regno, perché tutti lo onorino e lo amino. Domando sovente a me stesso. Perché vivi? Perché sei qui? E mi rispondo: vivo e son qui per salvare me stesso e per sacrificarmi per la salute eterna di queste anime. E mi sento felice di non aver altra occupazione che non sia diretta a questi due nobilissimi fini».[3] In queste parole scopriamo un desiderio, un bisogno di una santità (“salvare me stesso”) che lo proietta verso una radicalità evangelica che rende efficace la testimonianza missionaria in favore delle anime.
● Crescendo in età e in responsabilità, esperienze ed incarichi danno forma all’unum necessarium sotto l’aspetto della comprensione teologica, dell’organizzazione e dello stile missionario: l’impegno editoriale nella pubblicazione delle Missioni Cattoliche[4], rivista missionaria di sorprendente apertura; la responsabilità nel decennio alla direzione dell’Istituto, durante il quale – nel 1925 – vengono pubblicate le nuove Costituzioni che segnano una ristrutturazione significativa dell’istituto, sia in patria che nelle missioni, in fedeltà a nuove esigenze della missione e con un’attenzione particolare all’inserimento dei giovani missionari nel campo missionario; l’impegno appassionato all’interno dell’Unione Missionaria del Clero che gli ha permesso di collaborare con tantissimi vescovi e sacerdoti. Padre manna vive tutto ciò maturando uno stile di obbedienza tipicamente apostolica, concreta e che riassumerei nelle parole “obbedienza alla realtà” così com’è e nella quale trovare modi per l’annuncio ai non cristiani e strutture adeguate. In tutto ciò egli dimostra spiccato interesse e capacità di osservazione dell’operato degli altri.
Noi Missionarie dell’Immacolata parliamo di “obbedienza alla missione” volendo comprendere meglio il nostro stile di obbedienza anche attraverso questo esempio di Padre Manna: un’obbedienza missionaria, come quella di Gesù, come mezzo per il compimento della missione, per l’avvento de Regno nelle intenzioni e nelle azioni, stando dove si è, attenti agli appelli della realtà.
● L’unum necessarium è in relazione con il suo metodo missionario: lo si vede bene nel testo scritto nel 1929, dopo il suo lungo viaggio nelle missioni in Asia, e rimasto a lungo inedito per il suo contenuto rivoluzionario, Osservazione sul metodo moderno di evangelizzazione. L’unum necessarium è la motivazione e lo scopo del rinnovamento missionario, dei cambi di strategia che vede necessari nell’attuazione missionaria del suo tempo della quale riconosce la grandezza ma vede anche i limiti e i mali – legati soprattutto a interessi particolaristici – e le controindicazioni per una missione universale come già si prospettava in quel tempo, in grado di raggiungere quelle che chiamava “le masse”, i grandi blocchi delle religioni, non ancora scalfiti dall’evangelizzazione. Queste grandi masse non cristiane sono state la sua passione, l’unum necessarium, in fondo solo loro; loro sono i destinatari della missione.
Ritengo tutto questo una bella provocazione per noi missionari/e di oggi, un invito a porci qualche domanda: abbiamo un nostro metodo missionario adatto alle esigenze di oggi, secondo i luoghi? Come lo possiamo scoprire insieme?
Per chi stiamo lavorando veramente? Per che cosa ci stiamo appassionando? Qual è il cuore dei nostri interessi? Forse oggi p. Manna ci suggerirebbe di tener presente che i progetti e le scelte apostoliche devono nascere dalla compassione sincera per chi non conosce Cristo. Il suo pensiero ci offre l’immagine di una missione non preoccupata di se stessa, ma protesa verso il mondo, verso le “anime”, per nulla autoreferenziale e disposta ad affrontare tempi lunghi.
Nei nostri contesti secolarizzati, al crocevia di popoli che si incontrano e si scontrano i destinatari della nostra missione non sono sempre facilmente identificabili; dobbiamo cercarli. Padre Manna, parlando dell’inserimento nelle culture dice che dobbiamo «trovare la via dei cuori»[5], che è la via dell’incarnazione, la via della relazione, la via dello studio per conoscere il pensiero religioso e filosofico dei popoli, senza preclusioni ideologiche. “Cercare le anime” è cosa complessa, per la quale occorre formarsi a una sensibilità spirituale in grado di accorgersi delle mancanze e delle domande spirituali delle persone, il loro bisogno di salvezza. Sono in grado di “cercare le anime”? Potrebbe anche essere, questo, un criterio di discernimento vocazionale!
Nella seconda parte della mia relazione accenno alle caratteristiche della spiritualità e della santità apostolica che sostengono l’unum necessarium e rendono possibile una tale concentrazione attorno a questo ideale di vita. Mi riferisco fondamentalmente a tre aspetti:
Un primo aspetto è la sua intensa relazione con Cristo, la necessità di identificarsi con lui partecipando alla sua obbedienza redentrice; in questa intimità con Cristo, contemplato soprattutto nel mistero del suo abbassamento nell’ Incarnazione e nell’umiliazione della Croce, il missionario impara ad amare le anime e ad abbracciare ogni sacrificio per la loro salvezza. Nei suoi scritti scopriamo una relazione profonda e affettuosa con Cristo; egli si vede come il tralcio innestato in Cristo vite.
Il suo cammino di identificazione con Cristo si poggia saldamente sul secondo pilastro della sua spiritualità: la preghiera, vissuta come uno spazio vitale e prioritario nel quale egli acquista familiarità con lo stile di obbedienza di Cristo. Nel suo dialogo con Dio la missione non è a lato ma è al centro della relazione spirituale e viene riletta in essa, suscitando in lui le virtù che possiamo giustamente definire “apostoliche”; alcune di esse sono più conosciute ma altre vanno scoperte; insieme alimentano una vera personalità apostolica. Ne elenco alcune che mi hanno particolarmente colpito: l’essere stabile, perseverante nel bene, capace di vedere e far vedere Gesù e capace di intercedere per gli altri; la franchezza e la responsabilità missionaria nei confronti della propria vocazione, la disponibilità ad imparare dalla tradizione apostolica dell’Istituto. Insomma c’è un grande tesoro intramontabile a cui attingere per formare personalità cristiane mature, particolarmente in tempo di crisi identitarie!
Noi missionarie dell’Immacolata riconosciamo nella nostra tradizione le tracce di questo stile di preghiera intendendo appunto la preghiera come una «contemplazione missionaria» (C 85) nella quale vorremmo non solo pregare per la necessità della missione ma far sì che sia la missione stessa a suggerire e formare la nostra preghiera, a formare il nostro essere donne di preghiera; e ciò in vista di una maggior integrazione di vita e di attaccamento affettivo alla missione.
Il terzo pilastro della spiritualità di padre Manna riguarda la vocazione missionaria intesa come servizio disinteressato alla chiesa e cooperazione alla sua missione evangelizzatrice; è il criterio ecclesiale che muove il suo zelo missionario: la santificazione delle anime non è impresa individuale ma azione ecclesiale; compiuta con e nella chiesa, corpo di Cristo e depositaria del mandato missionario. Il “missionario della redenzione” accetta ogni sacrifico per mettersi al servizio della fondazione della chiesa, a servizio in particolare della fondazione delle chiese indigene, sul modello della chiesa apostolica e in dialogo con le culture, rinunciando a posizioni di protagonismo. Egli è mosso anzitutto da una motivazione teologica: la natura missionaria del ministero ordinato – l’idea cioè del sacerdote – apostolo, in quanto unito al sacerdozio di Cristo redentore – e la consapevolezza che l’impegno della conversione del mondo a Cristo riguardi tutta la chiesa, in primo luogo vescovi e sacerdoti. Anche per noi oggi la nostra “fatica apostolica” deve essere anzitutto questo impegno ecclesiale, dentro la Chiesa, liberi da interessi congregazionisti.
Si tratta di principi di spiritualità missionaria e di una poderosa azione di formazione missionaria allo scopo di ispirare il movimento missionario tra i fedeli, attraverso l’azione dei sacerdoti; azione confluita nell’Unione missionaria del Clero, associazione fondata nel 1916, patrocinata da Mons. Conforti e approvata da Propaganda Fide; idee a cui farà chiaramente riferimento Benedetto XV nell’Enciclica Maximum Illud del 1919.
Avviandoci alla conclusione desidero sottolineare ancora una cosa: padre Manna coltiva l’idea di una spiritualità missionaria intesa come patrimonio di tutto l’Istituto. Egli contempla l’Istituto del Pime come un corpo vivo, con una tradizione apostolica robusta che cresce grazie alla santità dei singoli missionari.
Le lettere ai missionari pubblicate con il titolo Virtù Apostoliche sono un documento straordinario per comprendere il suo pensiero in proposito e la sua capacità di valorizzare la tradizione condivisa. Ricevo questo come bella eredità e raccolgo due inviti per i missionari del pime e anche per noi Missionarie dell’Immacolata. Un primo invito: scegliere di nuovo il cammino di santità apostolica, dentro l’obbedienza a un progetto comune per far convergere le forze migliori; il secondo è l’invito a creare tra noi missionari e missionarie spazi di riflessione e condivisione dell’esperienza della missione, per comprendere dove e come il Signore ci vuole oggi e alimentare e descrivere la nostra tradizione apostolica, in vista di un’identità da trasmettere ai giovani, alle future generazioni.
[1] P. Manna, Osservazione sul metodo moderno…, 73
[2] G. Scurati: Nato nel 1831 a Milano, entra nell’Istituto delle Missioni estere di Milano nel 1855. Nel 1891 è nominato Superiore generale dell’Istituto. Muore nel 1901.
[3] P. Manna, Epistolario. A Mons. G. Scurati (1891-1907), 73
[4] Nel 1895 Scurati gli affida il compito di tradurre dal francese 15 numeri della rivista “Le missioni cattoliche”
[5] P. Manna, Osservazioni sul metodo moderno…, 43.
Maria Elena Boracchi, Mondo e Missione