L’ultima tappa del piccolo percorso sulla “Custodia del Creato” tracciato attraverso le pagine del capitolo IV della LS vuole prendere ispirazione da uno dei principi cardine della Teologia Morale: “IL PRIVILEGIO DEL DEBOLE”.

Con l’espressione “privilegio del debole” s’intende una preferenza esplicita espressa per colui che, in relazione ad altri soggetti e rispetto al contesto sociale nel quale vive, riversa in condizione oggettive di debolezza.

Una volta individuata la persona appartenente alla categoria debole, il compito di ogni essere umano dovrebbe essere quello di agire in sua difesa, al fine di garantire la sua sopravvivenza, la sua dignità e collaborare affinché possa emergere dalla condizione di estrema fragilità nel quale si trova.

Questo principio, applicato alla riflessione ecologica, sottolinea come il punto di partenza e di arrivo della custodia della casa comune collimano con la cura dell’uomo, di ogni uomo. In proposito, riporta la Laudato Sì al capitolo IV: «per poter parlare di autentico sviluppo, occorrerà verificare che si produca un miglioramento integrale nella qualità della vita umana, e questo implica analizzare lo spazio in cui si svolge l’esistenza delle persone (LS 147)».

Risulta quindi sterile e priva di fondamento quella ecologia integrale che non ha per mèta un miglioramento integrale nella qualità della vita di ogni essere umano (soprattutto di colui che riversa in condizioni oggettive di fragilità), a qualsiasi latitudine e longitudine esso si trovi. Alla luce di questa provocazione è doveroso riconoscere che sono ancora troppi e incalcolabili quei contesti di vita nei quali la dignità dell’uomo, e purtroppo la sua stessa sopravvivenza,  sono minacciate. Si tratta di contesti di vita che accentuano le condizioni di fragilità nelle quali riversano molte, troppe popolazioni:

  • pensiamo all’Amazzonia e alla lotta di tante popolazioni indigene per preservare il territorio di questo polmone del mondo;
  • guardiamo all’esodo al quale sono costrette numerose popolazioni nel continente africano o asiatico per l’avanzare di carestie e la scarsità di risorse idriche;
  • consideriamo la qualità di vita in quei contesti ipersviluppati dove l’inquinamento e la minaccia del nucleare ricadono sull’intera popolazione, aumentando il tasso di incidenza di malattie tumorali, del sistema linfatico e sanguigno.

La responsabilità personale di ogni uomo dovrebbe muovere la singola coscienza, e quella collettiva, ad agire quotidianamente in forma consonante al principio di tutela del debole, dei più deboli.

La consapevolezza circa la situazione drammatica che si è creata in alcuni angoli di mondo, soprattutto a causa della distribuzione non equa delle risorse, chiama all’impegno singolo e collettivo della formazione della coscienza. A questo fine risulta importante un accenno ad una delle più suggestive declinazioni del privilegio del debole: “l’opzione preferenziale per i poveri”.

Dalla Conferenza di Medellín a Puebla con l’espressione “scelta preferenziale per i poveri” s’intende la necessaria conversione della Chiesa alla predilezione dei poveri.

Questa “opzione preferenziale” non intende essere un mero programma ideologico, ma piuttosto una riflessione che trova il suo fondamento nella predilezione di Cristo per i più diseredati,

ovvero quei poveri che sono i primi destinatari del messaggio evangelico, proprio perché Gesù abitò quella stessa condizione di povertà.

Il Figlio di Dio fu il primo povero, come si legge nell’inno cristologico di Filippesi 2, 6-11:  «facendosi uomo, Cristo si fece solidale con gli uomini e assumendone le condizioni di nascita, vita e soprattutto passione e morte raggiunse la massima espressione di povertà». (PUEBLA. L’evangelizzazione nel presente e nel futuro dell’America Latina, EMI, 1979)

Questa conversione della Chiesa alla “opzione preferenziale per i poveri” consiste dunque in un’esigenza morale, un dovere che coinvolge ogni uomo, in quanto ne interpella la coscienza e lo chiama all’esercizio della propria responsabilità. La responsabilità morale esercitata in campo ambientale ricorda all’umanità come non possa esistere cura della casa comune che non parta anzitutto dalla cura delle categorie più fragili, quale impegno evangelico a modello della stessa azione pastorale di Cristo (cfr Lc 4,18-21).

Allora, la domanda guida della sezione finale di questa riflessione sulla Laudato Sì diviene: «Come cogliere una condizione di fragilità e povertà, ai fini di esercitare la propria responsabilità?».

Lasciandoci guidare dalla Teologia Morale, comprendiamo come la fragilità, la povertà siano condizioni di vita che non sopportano definizioni (a nessun livello, sia esso sociale, antropologico, morale).

Per questo, il compito che ci è dato non consiste tanto nel definire una condizione di povertà piuttosto nell’esercitare la nostra prossimità verso coloro che sono in condizioni di fragilità. Questa prossimità è la chiamata che ci è rivolta, anche in ambito di cura della casa comune. Non posso pretendere di arrivare ad una definizione, piuttosto sono chiamato a desiderare di guardare all’altro, ogni altro da me, come “prossimo” per farmi prossimo, accorgendomi che, inaspettatamente, potrei ritrovarmi accanto a qualcuno che in un momento determinato abbia bisogno di un aiuto concreto per poter vivere (Donatella Abignente).

Per allenare lo sguardo ed orientare il proprio quotidiano a questa opzione preferenziale il capitolo IV dell’enciclica offre al lettore, nella sezione finale, una prospettiva importante dalla quale lasciarsi guidare in termini di esercizio e cura della casa comune con predilezione per volti e storie segnati dalla fragilità.

Chiamati a svolgere quotidianamente un compito arduo, che consiste nell’operare nel proprio piccolo per la difesa e la liberazione di coloro che vivono in luoghi insalubri, in contesti minacciati da cambiamenti climatici repentini o dallo sfrenato sfruttamento dei territori dovuto ad un errato sistema economico, non dobbiamo neppure dimenticarci che in condizioni di fragilità riversano anche coloro che appartengono alle generazioni postume.

Ecco cosa insegna la sezione finale del capitolo analizzato dedicata alla “Giustizia fra le generazioni”, ci insegna a considerare come “deboli” anche coloro ai quali oggi stiamo consegnando il pianeta.

Se non inizieremo a prendere coscienza anche di questa fragilità che caratterizza le generazioni future finiremo per consegnare loro solamente un pianeta destinato ad implodere.

sr. Anna Marini, Guinea Bissau

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