Mi presento: mi chiamo sr. Suzanne Djebba, sono camerunense e ho 41 anni. Da un anno e mezzo sono missionaria in Guinea Bissau e abito nella comunità di Bissau.Missione come adattamento e inserimento? Dopo un anno e mezzo, posso dire che per me questo processo è ancora in corso, perché sta crescendo la mia conoscenza sia della realtà della missione che Dio mi ha affidato, sia delle persone con cui lavoro, sia della comunità dove vivo con suore di diverse nazionalità.   

Quando sono arrivata in Guinea, avevo appena finito di imparare il portoghese e, anche se sapevo che non è una lingua molto parlata dalla gente comune, speravo che alcuni la usassero. La realtà che ho incontrato, invece, era molto diversa da quel che pensavo. Così, la prima sfida mi si è presentata dentro questo scoprire che la lingua che avevo imparato con tanto impegno e interesse non serviva molto qui in missione. Dovevo scegliere tra continuare a parlare una lingua che nessuno capiva, o entrare seriamente in un processo di apprendimento di una nuova lingua che mi aiutasse a comunicare con le persone. Decidì che dovevo davvero imparare il criolo, che ha molte parole di origine portoghese, ma è un’altra lingua, con espressioni, stilo e grammatica propri. Dopo un po’ di confusione iniziale, lo ho imparato pian piano, e questo mi dà una grande opportunità di parlare e interagire con le persone.

Essendo io africana, all’inizio non ci credevano che io non fossi guineense. Pensavano che non mi piacesse parlare la loro lingua. Solo dopo aver notato il mio accento diverso e la reale difficoltà a esprimermi come loro, hanno capito che dicevo la verità sul mio essere straniera. Solo col tempo e con molti sforzi sono riuscita a vincere tutto questo.

La sfida della lingua però rimane. In modo particolare quando si va nei villaggi, dove la gente usa termini diversi dalla città. Però, è stato bello scoprire che quando le persone vedono lo sforzo che faccio, mi aiutano e sono più tolleranti con i miei errori.

All’inizio, chiedevo loro di correggermi, ma per rispetto le persone non dicevano che avevo sbagliato, semplicemente ripetevano la stessa frase in modo corretto. All’inizio mi chiedevo perché dovevano sempre ripetere quello che avevo appena detto, finché ho capito che era una forma rispettosa di correggermi.

In questo mio processo di inserimento, posso dire che i miei insegnanti migliori siano stati i bambini, che nella loro spontaneità mi aiutavano a migliorare la mia pronuncia e mi insegnavano nuove parole.

Oltre alla lingua, il mio processo di adattamento e inserimento è passato anche attraverso lo sforzo di conoscere e capire usi e costumi della Guinea, che se per alcuni aspetti assomigliano un po’ a quelli del mio Paese, per altri versi sono molto diversi sia nel modo di vedere la vita, sia di gestire i legami familiari e di vivere la fede. All’inizio, tendevo a fare paragoni, che fortunatamente non mi portavano da nessuna parte. Col passare del tempo, ho imparato a vedere queste differenze come qualcosa inerente alla mia vita missionaria.

Per questo posso affermare che, per me, entrare in un nuovo contesto di missione, è come imparare a camminare. Il bambino all’inizio non ha equilibrio, poi cade nel tentativo di andare velocemente, ma solo pian piano si riesce a rimanere in piedi e a camminare con sicurezza perché si sa un po’ di più dove porta il cammino.

Mi dà coraggio vedere altri missionari appena arrivati passare per il mio stesso cammino di inserimento. Cammino che comporta certamente fatica, ma anche la gioia di entrare in contatto con ciò che è nuovo e diverso per condividere la fede e vivere la comunione cristiana con altri. Per questo, il processo ancora in corso di inserimento mi conduce a crescere in umiltà e in apertura del cuore, perché ogni giorno scopro che ha ancora molto da imparare.

Sono sicura di non essere sola in questo cammino, perché la comunità mi accompagna, chiarendo alcuni dei miei dubbi. E la certezza che il Signore è sempre al mio fianco è per me sorgente di serenità e fiducia per vivere in questa terra di missione che Lui mi ha affidato.

Sr. Suzanne D’jebba, Guinea Bissau

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