“Scrivi qualcosa sul vostro Giubileo in Cameron? Sì, il tempo di rientrare dall’animazione, sistemare qualche impegno e poi sicuramente lo faccio…” e da quel momento son già passati due mesi. Grazie al cielo il giubileo dura un anno intero!

E per farlo c’è voluta una positività al Covid, uno stop non deciso, capace di metterti in camera quindici giorni (con la fortuna, per me, di non avere sintomi).

Già questo mi ha fatto riflettere. Il giubileo dovrebbe essere un anno particolare, un tempo “scelto” per riconsegnare tutto nelle mani di Dio, ringraziare e chiedere perdono, libere dall’ansia dei risultati ottenuti. Non dovrebbe essere un “accidente” come nel caso della malattia che dove sei sei, ti fermi, l’ha deciso lei.

Attingendo ad una bella intervista del Cardinal Ravasi, possiamo entrare meglio nel senso di celebrare un giubileo. Nell’antica traduzione in greco della Bibbia (conosciuta come quella dei ‘Settanta’) ha tradotto il termine ebraico jobel con il greco áphesis, cioè “liberazione, remissione, perdono”. Ha considerato cioè come il Giubileo non è solo un rito, ma un’esperienza di vita che si auspica incisiva per ogni uomo e per la società intera. Un’esperienza che non si limita al rituale ma che diventa ad esempio la restituzione delle proprietà vendute, la remissione dei debiti, scelte concrete da fare insieme. Secondo la Bibbia, infatti, la terra di Israele era di proprietà delle tribù e delle famiglie ed era stata donata da Dio in usufrutto dopo la conquista di Canaan. Dunque la terra restava di Dio. Quando una terra veniva alienata, venduta, si modificava la mappatura originale.

Nel libro di Ezechiele (46, 17) si evidenzia come l’anno giubilare sia anche quello del riscatto anche delle persone, di chi per la miseria aveva dovuto rinunciare alla sua libertà e in quell’anno poteva ritornare a casa, riavendo terra e libertà.

Nel Nuovo Testamento per diciassette volte ritroviamo la parola greca áphesis, che – come abbiamo già notato – significa “liberazione, remissione, perdono”. In particolare lo leggiamo nel Vangelo di Luca (4, 18-19), di cui ecco un passo molto significativo, in cui Cristo annuncia il suo Giubileo: Lo Spirito del Signore è sopra di me, per questo mi ha consacrato e mi ha inviato a portare ai poveri il lieto annunzio, ad annunziare ai prigionieri la liberazione e il dono della vista ai ciechi; per liberare coloro che sono oppressi e inaugurare l’anno di grazia del Signore.

A partire dal 13 Dicembre 2020, la Provincia della Missionarie dell’Immacolata in Cameron ha dato avvio all’anno di celebrazioni giubilari nelle quali come Congregazione, con riconoscenza e gioia, rendiamo grazie al Signore per 50 anni di presenza in questa terra di missione. La cerimonia d’apertura, svoltasi nella parrocchia d’Ambam, nostra prima missione in Cameron, ha visto la partecipazione di tutte le suore accanto a tutta la comunità parrocchiale ed al vescovo di Ebolowa.

Un simbolo accompagnerà l’anno intero: una mappa del Cameron con all’interno il Seminatore nell’azione ininterrotta del seminare che gioisce per il frutto di questi 50 anni.

Il programma per l’anno celebrativo è già pronto e ricco. Animazione fra i giovani per riaccendere la fiamma della vocazione missionaria, un concorso di teatro per far rivivere la nostra storia tra le nuove generazioni, dibattiti sul senso della missione oggi tenendo conto di tutte le fasce d’età, un’attenzione particolare ai piccoli, momenti di preghiera e di celebrazione dove cercheremo di valorizzare la nostra spiritualità, far conoscere i nostri fondatori, rinsaldare la missione con il PIME. In molte di queste attività il nostro primo gruppo laici MDI collabora con noi,

Un bel programma, insomma, un tempo che in realtà ci chiede di metterci in gioco e di spenderci di più per rivalorizzare la nostra missione. Tutto ciò penso che sia bello, ma questo arresto forzato…forse ci invita ancora ad un di più per comprendere meglio questo giubileo.

La prima provocazione è arrivata dal vescovo di Ebolowa, Mons. Philippe Mbarga, che nella sua omelia durante la Messa di apertura ha preso tempo per farci comprendere come lui vedeva questo gesto del Seminatore, questa mano tesa verso il terreno, sempre aperta, passo dopo passo.

Senza esitazione ha affermato che questa mano non dovrebbe essere continuamente aperta, ci siamo un po’ stupite ascoltandolo, ha insistito sul fatto che la missione deve creare senso di missione a chi riceve il seme e che ora è tempo che la staffetta per la Buona Novella sia presa veramente in mano dalla comunità locale. Affermando ciò non voleva dire ai missionari che è il momento di rientrare, ma piuttosto che è tempo di mettere mano insieme, di darsi una mano, di prendersi in mano.

Questa “sosta da Covid” che si oppone ai mille programmi giubilari già decisi e che ci obbliga a rinvii, dovrebbe anche aiutarci a riflettere sulla nostra presenza in Cameron. Sarà questo un tempo propizio per porci domande nuove, alle quali sicuramente non sarà facile rispondere: questa missione, ricevuta da Dio nel 1971, è ancora come lui la vuole? Siamo pronte a riceverla nuovamente dalle Sue mani per rispondere con creatività alle sfide di oggi oppure è diventata “nostra proprietà”? La mano del Seminatore è ricca di semi pronti ad essere lanciati o è occupata da tante cose importanti, ma non essenziali? Come “riscattare” questo popolo cristiano perché possa lanciare il seme con noi? Quale perdono dobbiamo dare e ricevere?

Questo Giubileo che ovviamente ci chiede un grande sforzo organizzativo per vivere bene queste feste, sapendo che in Africa la festa è famiglia, è rendimento di grazie, diventi esperienza di vita incisiva per noi e per la gente con la quale viviamo. Diventi coraggio di mettersi in discussione, per ridire insieme: “per questo il Signore mi ha consacrato ed inviato”, ed inaugurare così l’Anno di Grazia!

Sr. Daniela Migotto, Provincia Camerun

 

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