Quando la chiamata diventa risposta, e la risposta diventa missione

Il 7 settembre 2025, nella parrocchia di San Roberto Bellarmino a Roma, sei giovani donne hanno pronunciato il loro primo “sì” tra le Missionarie dell’Immacolata (PIME). Ma prima ancora di essere una celebrazione, è stata una risposta a una chiamata che ciascuna ha riconosciuto nel silenzio del proprio cuore, nelle pieghe inaspettate della vita quotidiana. Emma Kiap e Francisca Sagu vengono dalla Papua Nuova Guinea, Sumaja Penumaka, Krupa Thomas e Bernadette Kamei dall’India, Akhi Rozario dal Bangladesh, sei voci che si sono unite in un canto che attraversa continenti, culture, lingue diverse.

Il cammino verso quel “sì” non è stato una strada in discesa. Tutte parlano della sfida più difficile: quella di conoscere se stesse. È la sfida universale di ogni vita consacrata, forse di ogni vita autentica: attraversare il deserto interiore, fare pace con le proprie ombre, amare anche le parti di sé più difficili da accogliere e poi ritrovarsi nella gioia di una vita donata a Dio, certe che Lui guida, sostiene, ama ciascuna.

E poi c’è stato l’esodo: lasciare la propria terra, la lingua materna, le abitudini che danno sicurezza. Ma in quella fragilità si è aperto un orizzonte nuovo. Vivere con sorelle di altre culture è diventato per tutte una scuola di amore universale.

Durante l’omelia della celebrazione, Padre Luca Bolelli, PIME, ha pronunciato parole che hanno toccato il cuore di queste giovani missionarie: “Prima di voi, è stato Gesù a dire sì.” È questa la verità che ribalta ogni prospettiva. Il loro “sì” non è il gesto eroico di chi decide di sacrificarsi, ma la risposta d’amore a Chi ha amato per primo. “Noi non siamo il centro di questa celebrazione,” ricordano le neo professe citando Luca 14:25, “il centro è qualcun altro.”

Il momento più intenso della liturgia è stato per molte la consegna della croce. Quelle parole — “Ricevi questa croce alla quale è appeso Colui che deve essere d’ora innanzi il tuo modello e l’unico oggetto del tuo amore” — sono diventate missione e promessa insieme.

Sei “sì” pronunciati in una cappella il 7 settembre. Sei storie diverse che convergono in un’unica verità: che la vita trova il suo senso più pieno nel dono, che la gioia più grande nasce quando si smette di essere il centro e si lascia spazio a Qualcun Altro. Sei giovani donne che hanno scoperto, citando p. Clemente Vismara del PIME, che: “La vita è bella se è donata con gioia.”

In un mondo che spesso guarda alla vita religiosa chiedendosi “perché sprecare la propria vita?”, loro testimoniano che non è spreco, ma guadagno. Non fuga dal mondo ma immersione più profonda nell’umanità, là dove l’amore di Dio attende di essere riconosciuto, annunciato, vissuto — nelle periferie geografiche come in quelle esistenziali, nella cucina di un convento come nei villaggi più remoti.

La loro prima professione non è un punto di arrivo, ma un nuovo inizio. Un “eccomi” pronunciato con Maria, un “se Dio vuole si farà” detto con Madre Dones, sempre avendo davanti Gesù, Apostolo del Padre, Seminatore e Seme. La missione continua, ogni giorno, nel vivere “l’oggi con tutte le sue realtà, ovunque ci troviamo,” lasciando che le loro vite e la fraternità, parlino dell’amore universale di Dio.

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