Una domenica come tante, a Messa, senza pensare che quel giorno il Signore mi stava aspettando.
Tutto fila liscio fino al Vangelo, lì avviene l’inatteso: il brano è quello della parabola del granellino di senape gettato in un campo che, nonostante sia il più piccolo tra i suoi simili, diventa una pianta talmente grande da diventare casa per gli uccelli del cielo.
Il parroco inizia l’omelia dicendo: “Il Signore non sa proprio che farsene di belle spighe dorate che si muovono al vento… Ci chiede di essere semi che si lasciano seminare e diventano qualcosa di grande per il Signore e per i fratelli”. Io mi sentivo a posto: facevo il mio lavoro seriamente, in un campo, quello dell’informatica bancaria, che a volte non è semplice coniugare con la vita cristiana e poi ero molto impegnata in parrocchia. Insomma mi sembrava che al Signore stessi dando già tanto… cosa poteva volere di più?
Questa domanda mi ronzava in testa continuamente, seppur continuassi a dire a me stessa che andava bene così. Un giorno ne parlo, quasi per caso, con un amico prete e lui, senza troppe parole, mi chiede: “Non hai mai pensato di farti suora?”. Io non prendo bene la sua domanda e rispondo che non ha capito niente di quanto gli stavo dicendo.
Ma l’immagine del seme ritorna, con maggiore forza e allora, con la coda tra le gambe, sono tornata da lui e ho iniziato un cammino di accompagnamento che mi ha portato sempre più a “identificarmi” in quel seme di senape che doveva essere seminato… ma dove? Non si può essere una suora generica.
Bisognava capire in quale campo il Signore mi stava chiedendo di essere seminata e ho trovato la risposta facendo memoria della mia storia. Da prima che io nascessi i miei genitori frequentavano assiduamente la casa dei fratelli laici del Pime a Busto Arsizio e i missionari, ai miei occhi di bambina, erano un po’ come dei super-eroi… i loro racconti mi avevano sempre affascinato. Crescendo, la figura del super-eroe ha lasciato spazio all’idea di uomini che, fatta esperienza di un amore talmente grande, non possono trattenerlo per sè, ma devono condividerlo con tutti, specialmente con i più lontani, con chi non ne ha ancora fatto esperienza, mettendo in gioco tutta la vita.
Gli anni di formazione e di preparazione per la missione sono stati intesi e ricchi di esperienze che attraverso le relazioni, lo studio, l’animazione missionaria hanno alimentato il desiderio di essere destinata alla missione, là dove a quel granellino di senapa sarebbe stato chiesto di essere piantato. Il 10 aprile 2015 il momento tanto atteso si concretizza e la missione assume un volto, un colore e un luogo ben definito: la Papua Nuova Guinea.
Da un paio di anni mi trovo qui, in quella che è definita la “terra dell’inaspettato” dove davvero ogni giorno il Signore sa stupire manifestando la sua presenza nelle pieghe di una quotidianià semplice, fatta di condivisione della vita e della fede in mezzo ad un popolo che è in cammino, che vuole maturare nell’amore del Signore.
Tutto è cambiato rispetto all’inizio: il luogo, il clima, la lingua, il cibo, i volti famigliari, le persone affidate e le persone con cui mi è chiesto di camminare insieme…ma il desiderio di portare frutto, di una vita da vivere nella pienezza dell’amore a servizio dei fratelli trova sempre la sorgente in Colui che, instancabilmente continua a seminare e a chiedere di seguirlo in quest’opera.