Shamin, un giovane mussulmano qualche tempo fa avrebbe voluto scrivere una lettera a Papa Francesco, ma non gli venivano le parole. Ora sono sgorgate dal suo cuore.
Shamin è responsabile dell’associazione non profit Pothoshishu Sheba Shongothon (P.S.S.), fondata da fratel Lucio Beninati, che si occupa dei bambini di strada a Dhaka, grande metropoli capitale del Bangladesh.
Caro Francesco,
ora riposi nel sacro abbraccio di Allah. Nessun suono di questo mondo ti raggiungerà più. Il rumore si è affievolito, ma la tua voce riecheggia ancora nei cuori di coloro che ti hanno ascoltato. Due anni fa, avrei voluto scriverti una lettera. Ho tenuto stretto il pensiero, ma le parole non sono mai arrivate, fino ad ora.
Non sei stato solo un uomo di Chiesa. Sei stato una rivoluzione della gentilezza. Hai infranto i muri costruiti da secoli di silenzio e paura. Nel tuo volto ho visto l’ombra di Gesù: gentile, audace e pieno di misericordia. Hai parlato senza paura contro l’ingiustizia, la disuguaglianza, la guerra, il capitalismo, la fede cieca e molte altre questioni importanti. Le tue parole, ricche di compassione, hanno rimodellato la storia e suscitato qualcosa di sacro in tutti noi.
Caro Francesco, la tua voce è profondamente necessaria in questo momento critico. Il genocidio di Gaza da parte di Israele continua, e il silenzio non fa che rafforzare l’oppressore. Sono musulmano, eppure il mio cuore piange la tua scomparsa come se avessi perso un fratello. Perché queste lacrime? Perché hai parlato il linguaggio universale: il linguaggio dell’amore, della solidarietà, della generosità. Questa lingua non conosce religione, ma solo umanità.
In questo momento, ricordo un verso di Rumi:
“Quando vedrai il mio cadavere trasportato,
non piangere per la mia partenza.
Non me ne sto andando.
Sto arrivando all’amore eterno”.Quindi, questa lettera si ferma qui, ma non i sentimenti. Credo che ti scriverò ancora, con la stessa speranza che hai dato al mondo.
Tuo fratello,
Shamim