ELIANE

La Guinea Bissau, “mia terra di missione”, diventa sempre una nuova Galilea con le sue tradizioni, i suoi sogni, le sue lotte e le sue resistenze, ma è il luogo da cui la missione viene continuamente rilanciata.

A 45 anni dall’arrivo delle nostre prime Missionarie dell’Immacolata, dai racconti delle sorelle vedo che la missione qui è un continuo vivere e approfondire la responsabilità missionaria di questa chiesa particolare, attraverso esperienze, testimonianze e contatti con culture diverse, alla luce dell’opzione evangelica preferenziale per i poveri, difendendo la vita e alimentando la speranza tra la gente.

Vedendo quanta strada abbiamo fatto, a volte mi chiedo: quali sentieri abbiamo percorso per rispettare gli impegni presi? Quali strade abbiamo aperto per proiettare le nostre Chiese sempre più oltre le frontiere, nella sequela di Gesù e nell’approccio permanente al nuovo, alle persone e a Dio?

Una frase di p. Giorgio Paleari (missionario del PIME ormai defunto) sintetizza bene la possibile risposta: «Fa parte della missione ed è proprio della missione attraversare le frontiere, è proprio del missionario essere sempre in cammino». È questo cammino che si percorre tra passato, presente e futuro, che ci fa scoprire quanto sia importante fare «memoria» delle origini e ravvivare la nostra eredità carismatica. Questo è il punto di forza che ci anima a riprendere oggi la nostra scelta e a lanciarci verso il futuro vivendo con più entusiasmo e creatività la nostra missione. Scopriamo così che fin dall’inizio siamo in cammino e apriamo nuove strade, nella semplicità, nella povertà, sostenute dalla Speranza che non delude.

Questo però non è sufficiente, il cammino deve continuare anche in futuro. Sappiamo che la Chiesa è nata in uscita ed è missionaria per natura. Nella nostra formazione e catechesi diciamo che ogni battezzato è inviato e animato dal desiderio di far conoscere e amare Gesù Cristo. Per questo il nostro essere missionarie non può fermarsi a noi stesse. Dobbiamo risvegliare, con il nostro essere e il nostro agire, i semi della vocazione missionaria che Dio ha seminato nel cuore delle giovani.

In questo anno giubilare siamo chiamate ad essere “Pellegrine di Speranza” e questo mi fa pensare con gratitudine a tutte le grazie che noi Missionarie abbiamo ricevuto, ma anche alle sfide di questo tempo. Dobbiamo essere grate, ma siamo anche chiamate, per vocazione, ad aiutare la Chiesa ad essere aperta nel donare dalla sua povertà. Questo è ciò che ci motiva a lavorare per le vocazioni affinché “tutta la Chiesa sia per tutto il mondo”.

Nell’esperienza di accompagnamento delle giovani abbiamo comunicato loro che sentirsi missionarie significa prendere coscienza della chiamata di Dio ad uscire da sé stesse, vivere in comunione con il progetto di Gesù e costruire il Regno di Dio. Abbiamo quindi preso coscienza, noi sorelle e le giovani accompagnate, che la Missione viene da Dio come dono e ritorna a Dio come servizio per diventare sempre più dono per il mondo.

Sr. Eliane Armoa, Guinea-Bissau

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