“Ero in carcere e siete venuti a visitarmi”
(Mt 25,36)
Questa frase del Vangelo non è mai stata così concreta per me come quando ho conosciuto il lavoro della Pastorale carceraria, legata alla Conferenza episcopale nazionale del Brasile (CNBB).
Mossa da questo motto, questa pastorale lavora direttamente con le persone private della libertà e con le loro famiglie, portando la presenza di Cristo e della Chiesa nel mondo carcerario.
La chiamata a visitare le carceri
Conoscendo le attività della Pastorale, mi sono resa conto più profondamente della realtà delle carceri brasiliane: le loro difficoltà, le loro assenze, il loro dolore. Questo mi ha fatto sentire nel cuore la chiamata a visitare i nostri fratelli e sorelle che vivono nelle carceri. È da questa consapevolezza che ho deciso di collaborare attivamente a questa missione pastorale.
Insieme all’equipe della Pastorale Carceraria della regione Brasilândia di San Paolo, abbiamo visitato quattro unità carcerarie situate a Franco da Rocha – tre per uomini e una per donne. La nostra équipe è composta da otto membri e le visite si svolgono a coppie, nei giorni riservati all’assistenza religiosa della Chiesa cattolica.
L’esperienza nelle carceri femminili
Il lunedì visito il Centro di detenzione provvisorio femminile, insieme a un’altra operatrice pastorale. La struttura ospita circa 700 detenute, suddivise in sette raggi. La maggior parte di loro è ancora in attesa della sentenza – rilascio o condanna – e del trasferimento in un altro carcere.
Secondo la legge, questo processo dovrebbe durare circa tre mesi. Tuttavia, molte donne rimangono lì per quasi due anni in attesa di questa decisione.
Dal momento in cui entriamo nel carcere fino a raggiungere i raggi dove si trovano le detenute, siamo accompagnate da un agente penitenziario responsabile della disciplina dell’unità. Dopo una lunga ispezione, veniamo autorizzate ad entrare e passiamo attraverso diverse porte.
Appena entrate nel raggio, sentiamo una voce che annuncia:
“Ragazze, la Chiesa cattolica!”.
Tra sbarre, mani e preghiere
Le detenute che si trovano nel cortile ci vengono incontro per partecipare alla preghiera e chiacchierare. Nonostante le sbarre che ci separano, cuori e mani si uniscono per pregare e offrire una stretta di mano. Condividono il dolore e la sofferenza che affrontano nelle loro celle: parlano del sovraffollamento, del cibo freddo e acido ed esprimono il bisogno di una consulenza professionale.
Alcune raccontano i crimini che hanno commesso. Altre piangono quando ricordano i loro figli che sono stati lasciati soli. Ascolto tutto con il cuore in mano, cercando di offrire consolazione, anche di fronte alla tanta tristezza che si riflette nelle parole e negli occhi di queste donne.

Vangelo, condivisione e fede
Dopo i colloqui personali, di solito leggiamo il Vangelo della domenica precedente. Spesso le detenute stesse si offrono di leggere il testo biblico. Poi abbiamo un momento di condivisione, a cui tutte partecipano con semplicità e profondità.
Concludiamo sempre con le preghiere del Padre Nostro e dell’Ave Maria.
Ci sforziamo di costruire relazioni positive con loro. Chiamiamo ciascuna per nome e cerchiamo di mostrare un’accoglienza incondizionata.
Presenza concreta: Cosa portiamo e cosa riceviamo
Portiamo rosari, Bibbie e preghiere perché possano pregare nelle loro celle. Diamo loro anche buste, fogli bianchi e penne per scrivere lettere alle famiglie e agli amici.
Su richiesta di alcune persone, prendiamo contatto con le loro famiglie, sia per telefono che attraverso visite. In questo modo, la pastorale contribuisce anche a ricreare o rafforzare i legami familiari, aiutando nel processo di accettazione e recupero. È un tentativo di offrire la possibilità di ricominciare, ripristinando le relazioni umane e affettive.
Riflessione dentro e fuori le sbarre
Oltre alla preghiera e agli incontri personali, durante la Settimana della Giornata della Cittadinanza nelle Carceri promuoviamo momenti di riflessione e approfondimento su temi specifici.
L’equipe della Pastorale è invitata a scegliere i temi su cui lavorare con i detenuti, come ad esempio:
- Giustizia riparativa
- Circoli di pace
- Ecologia integrale
- Salute mentale
L’anno scorso ho avuto l’opportunità di tenere una conferenza sul tema: “Come funziona la mente umana? Come possiamo riprogrammarla a nostro vantaggio”.
Si è svolta nel carcere maschile a regime chiuso di Franco da Rocha. All’inizio mi sono resa conto della paura e della diffidenza, ma gradualmente, man mano che il discorso scorreva e io interagivo, l’atmosfera è cambiata. Quel momento è stato profondamente arricchente per tutti noi.
Accogliere i membri della famiglia
Oltre alle visite in carcere, la Pastorale organizza incontri mensili con le famiglie dei detenuti. L’obiettivo è quello di ascoltarle, sostenerle e accoglierle, sia emotivamente che materialmente.
Ascoltando i familiari, ci rendiamo conto di quanto soffrano, a volte più dei detenuti stessi. Vengono accolti con affetto e rispetto. L’incontro si conclude sempre con un pranzo preparato con amore, in cui condividiamo non solo il cibo, ma anche la solidarietà.
La speranza come via
Ogni volta che entro in carcere, ricordo e rivivo l’invito di Papa Francesco in questo Anno giubilare: offrire speranza ai nostri fratelli e sorelle privati della libertà.
Varcando i cancelli del carcere, chiedo a Dio la grazia della conversione personale e comunitaria, il dono del perdono e della riconciliazione per tutta l’umanità.
Per me, essere una “pellegrina della speranza” significa credere con tutto il cuore che la trasformazione è possibile per tutti.
Credo che
- le carceri possono essere umanizzate
- Le vite possono essere restaurate
- La misericordia divina può raggiungere gli angoli più bui della società.
Il progetto della Pastorale Carceraria per un “Mondo senza prigioni” non è utopico. È urgente, attuale e necessario. È un progetto socio-trasformativo che si muove verso la “Terra senza Male”, verso il sogno di un Brasile dove la vita buona è per tutti – dove tutti hanno la vita, e la vita in abbondanza, come ci ha promesso Gesù.
Sr. Sheeba Thomas, Brasil Sul

La speranza come via













