hindu racconta Papa Francesco

Non avrei mai pensato che un leader cristiano avrebbe lasciato un tale segno nel mio cuore.

Sono nata in una famiglia indù, cresciuta tra incensi, rituali e il suono delle campane dei templi. La fede mi era familiare, sì, ma Papa Francesco ha portato qualcosa di nuovo nella mia vita, qualcosa che non mi aspettavo da un uomo così lontano dal mio mondo. Non parlava la mia lingua né seguiva la mia tradizione, eppure parlava direttamente alla mia anima.

La prima volta che ho sentito parlare di lui era attraverso una foto. Era inginocchiato e lavava i piedi ai rifugiati, ai musulmani, agli indù, ai prigionieri, ai dimenticati. Ho fissato a lungo quell’immagine. Nella sua veste bianca, piegata in basso in segno di umiltà, ho visto qualcosa di potente: non religione, ma compassione. Non dogma, ma dignità.

Mi ha fatto credere di nuovo non in un Dio diverso, ma nella bellezza dell’umanità.

In un mondo in cui i leader chiedono applausi, c’era qualcuno che sussurrava semplicità. Quando il mondo cercava il potere, lui ha scelto la povertà. Ricordo di aver sentito le sue parole: “Una Chiesa povera per i poveri”. Non sono cattolico, ma quelle parole mi hanno fatto riflettere. Trafissero qualcosa di profondo dentro di me. Mi ricordavano i santi della mia terra, quelli che camminavano a piedi nudi, vivevano tra la gente e abbracciavano il dolore per consolare gli altri.

Ascoltavo i suoi discorsi non per la teologia, ma per la verità. Quando parlava del cambiamento climatico, non era un discorso politico. Era un discorso paterno. Come se la Terra fosse una bambina, malata e piangente, e lui, un vecchio con le lacrime nella voce, ci implorasse di amarla.

Non aveva bisogno di abbracciare persone come me. Ma lo ha fatto. In silenzio, senza titoli di giornale. Ha detto: “Chi sono io per giudicare?” quando gli è stato chiesto degli omosessuali. E ho pensato che se quest’uomo, che guidava milioni di persone, poteva lasciar perdere il giudizio, non potevo sforzarmi un po’ di più di amare senza condizioni?

Quando è morto, l’ho sentito come una perdita in casa mia. Non perché condividessi la sua religione, ma perché condividevo la sua speranza. La semplice bara di legno, il desiderio di non avere titoli sulla tomba, solo “Franciscus”, è stato il suo ultimo sermone. Umiltà, fino alla fine.

Mi ha insegnato che non è necessario avere il mio aspetto, parlare come me o pregare come me per ispirarmi. Devi solo amare, profondamente, genuinamente e come viene dal cuore”.

Prasad, India

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