La prima volta in cui capì che avrebbe voluto spendersi per offrire un’opportunità alle donne messe ai margini dalla società, suor Lavina si trovava nel Rajasthan, il grande Stato dell’India settentrionale noto per i sontuosi palazzi e le imponenti fortezze testimonianza dei regni passati. Ma, dietro alle attrazioni amate dai turisti, la giovane religiosa originaria del Maharashtra scoprì presto la dura condizione di molte ragazze delle remote comunità tribali, escluse da un’istruzione adeguata e destinate a rimanere indietro rispetto ai loro coetanei maschi e a restare relegate in uno stato di perenne dipendenza dai futuri mariti.
Era il 2007 e suor Lavina Dabre, nata in una famiglia cattolica e formatasi in una scuola gestita dalle Piccole sorelle dei poveri nella diocesi di Vasai, aveva appena pronunciato i suoi primi voti come missionaria dell’Immacolata: «Fin da bambina avevo sentito il desiderio di dedicare la mia vita a Dio, proprio come quelle donne che si occupavano con dedizione della mia educazione, ma quando, a diciassette anni, cominciai a pensarci seriamente, non fu facile trovare la congregazione giusta per me», racconta. A illuminarle la strada fu l’incontro con una religiosa italiana, suor Lucia Pala (che oggi ha superato il traguardo dei quarant’anni di servizio in India): «Fu lei a farmi conoscere il Vimala Centre, un ospedale fondato dalle missionarie dell’Immacolata e specializzato nella cura della lebbra. Suor Lucia mi spiegò il carisma di queste sorelle che andavano oltre le frontiere per mettersi al servizio dei più bisognosi e le sue parole mi conquistarono». La giovane rimase un mese a Vimala, osservando da vicino l’impegno delle suore a fianco dei più poveri e in particolare delle donne, che lottavano per rivendicare i propri diritti. E, alla fine, decise di iniziare il cammino di formazione per diventare missionaria dell’Immacolata.
La sua prima esperienza in Rajasthan, due anni di lavoro pastorale tra le famiglie tribali, dove scoprì la carenza di opportunità per le donne, la spinse alla decisione di approfondire la sua formazione nel campo sociale: «Mi iscrissi all’università di Hyderabad e dopo tre anni ottenni il baccalaureato come assistente sociale», racconta suor Lavina. Con la mia specializzazione in «tasca, raggiunsi la nuova destinazione che mi fu assegnata: Haldwani, nello Stato rurale dell’Uttarakhand, dove le missionarie dell’Immacolata gestiscono tra l’altro un ospedale». Un punto di riferimento per la salute, ma non solo: nei locali della struttura la giovane suora organizzava corsi di cucito per le donne incontrate durante le visite ai villaggi circostanti: «Anche lì, le ragazze erano molto meno istruite dei maschi», racconta. «Il nostro obiettivo era aumentare la loro consapevolezza e renderle autosufficienti. E oggi, che opero in un’altra missione, mi riempie di gioia tornare Îì in visita e incontrare quelle donne che, grazie alla loro macchina da cucire, non solo possono vestire se stesse e | propri figli, ma hanno un reddito che permette loro di mantenere la famiglia». L’autonomia economica, tuttavia, era solo uno dei fattori in gioco nella partita decisiva dei diritti femminili.
Quando, nel 2015, suor Lavina si spostò nella comunità di Jhansi, nello Stato dell’Uttar Pradesh – un contesto esclusivamente indù -, ebbe l’occasione di spendersi su diversi altri fronti di quella stessa partita: «Mi inserii in un grosso progetto dedicato a ben cinquecento ragazze di una dozzina di villaggi della zona, che aveva l’obiettivo di offrire opportunità alle adolescenti. Per loro organizzavamo corsi di formazione professionale ma anche iniziative per promuovere la coscienza dei loro diritti legali e per insegnare come difenderli, come riconoscere eventuali abusi, purtroppo frequenti, e denunciarli alla polizia».
Dopo un’altra esperienza a Jaipur, dove fu tra le pioniere del progetto Navchetan dedicato ai bambini con disabilità che vivevano negli slum della città rosa, suor Lavina si trasferì a Bangalore per affrontare una nuova sfida: lo studio per il master in Psicologia e counseling. Si trattava di un altro strumento per affiancare, con la necessaria competenza, le giovani generazioni di indiani e in particolare di indiane. Proprio quello che la religiosa, oggi quarantenne, fa a tempo pieno dopo che, concluso il corso biennale ed eletta nella direzione della delegazione di Delhi, è stata nominata counselor nella scuola superiore Nirmala Convent, che la congregazione gestisce nella città di Ratlam, nel Madhya Pradesh. «In questo contesto urbano, dove tuttavia studiano anche molti ragazzi e ragazze provenienti dai villaggi, per gli adolescenti non è facile trovare la propria via tra la cultura tradizionale, in un ambiente religioso plurale, e le opportunità del mondo moderno. lo li aiuto ad affrontare disagi che vanno dalla dipendenza dal cellulare all’incapacità di gestire le emozioni, dalla difficoltà a comunicare con i genitori fino alla fatica di riconoscere e affrontare varie forme di abusi». Per liberare la società indiana da incrostazioni arcaiche e nuove contraddizioni.
Chiara Zappa, Mondo e Missione di Gennaio 2025