EDITORIALE

Leggendo il reportage sull’impegno dei confratelli del Pime e delle consorelle dell’Immacolata in Tunisia, mi sono chiesto: si può spendere una vita puntando sulle relazioni occasionali che si creano al mercato o dentro la quotidianità? Io stesso ho vissuto questa esperienza nella mia ultima missione in Cambogia. Nessuno mi attendeva, nessuno aveva chiesto di conoscere Gesù. Nella cittadina di Ta Khmau tutti erano buddhisti e nessuno aveva bisogno o desiderio di cambiare religione. Allora perché andare a Ta Khmau o a Tozeur a “disturbare” la quiete di queste persone, musulmane o buddhiste che siano? Perché vivere le proprie giornate a servizio di una

Chiesa così minoritaria (30 mila cattolici in Tunisia, 20 mila in Cambogia)? La convinzione di rimanere per testimoniare il Vangelo silenziosamente regge il costo umano ed economico di questa scelta?
Certamente sì, altrimenti non sarei qui a scrivere questo editoriale. Ma di che tipo di testimonianza parliamo? L’esperienza dei monaci di Tibhirine ha qualcosa da dirci: una vita fatta di preghiera, silenzio, fraternità, impegno per la popolazione e incontri fraterni e pienamente umani. Come dicono padre Anand e fratel Marco dalla Tunisia, «non siamo qui a piantare bandierine o a tentare di convertire quante più persone possibile, ma a portare una testimonianza cristiana proprio come vuole il carisma del Pime». Similmente ai monaci di Tibhirine, anche noi missionari del Pime e dell’Immacolata a volte viviamo in luoghi dove siamo ben pochi a pregare il Signore Gesù per tutti i volti che incontriamo al mercato o nelle strade, e a celebrare l’Eucaristia domenicale, che è comunque per tutti.

E come loro stiamo con la gente, cerchiamo la relazione, perché lì passano tutta l’umanità e la divinità di Gesù che “fa” l’uomo e la donna.
Il missionario è chiamato a sciogliere i ghiacci che si annidano nei cuori di molti, a generare processi di libertà che sprigionano il sé autentico di chi ci sta davanti. La vita cristiana infatti non è mai congelata ma sempre libera, perché fondata sul legame con Colui che libera il nostro cuore per avvicinarlo al Suo. Chi vive così potrà essere missionario ovunque, tra i musulmani, i buddhisti, gli atei o i cristiani di facciata. Ognuno di noi raccolga la propria sfida.

Mario Ghezzi, Mondo e Missione di giugno-luglio 2022

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