La cultura Indiana è tra le più antiche al mondo. Cambia da luogo a luogo, a causa del suo ampio territorio. Nei secoli, ha conosciuto una fusione significativa di diverse culture. La gente in India parla diverse lingue, veste abiti differenti, segue religioni diverse, mangia tante qualità di cibo, celebra festività diverse, ma si riconosce sotto la stessa indole e lo stesso temperamento. Di conseguenza, sia che sia un momento di gioia o di dolore, la gente partecipa con tutto il cuore, condividendo la felicità o la tristezza.
Il popolo indiano è conosciuto a livello mondiale per il suo spirito di tolleranza e unità, caratterizzato da mitezza e gentilezza, in una relazione di dare e avere. In un certo senso le culture indiane possono essere paragonate ad un giardino di fiori di colori differenti, le cui tonalità, pur mantenendo la loro propria identità, danno armonia e bellezza al giardino “INDIA”.
La parola “CULTURA” è una delle parole che il Pontefice Francesco sottolinea e definisce nella sua recente Enciclica sociale “FRATELLI TUTTI”. “La parola – cultura – indica qualcosa che è penetrato nel popolo, nelle sue convinzioni più profonde e nel suo stile di vita. Se parliamo di una “cultura” nel popolo, ciò è più di un’idea o di un’astrazione. Comprende i desideri, l’entusiasmo e in definitiva un modo di vivere che caratterizza quel gruppo umano.” (n. 216).
Proseguendo più profondamente nella riflessione, Papa Francesco successivamente giunge alla CULTURA DELL’ INCONTRO – che secondo lui significa che “come popolo ci appassiona il volerci incontrare, il cercare punti di contatto, gettare ponti, progettare qualcosa che coinvolga tutti” (n. 216). Un invito aperto ed insieme una sfida per il mondo a trascendere le differenze e le distanze creando “quel poliedro che ha molte facce, moltissimi lati, ma dove tutti compongono un’unità ricca di sfumature, perché «il tutto è superiore alla parte»” (n. 215).
Per noi missionarie, questa non deve e non dovrebbe essere una sfida. Ci viene ricordato che dovunque andiamo, con chiunque viviamo, siamo chiamate a sottostare al processo di INCULTURAZIONE. Un momento nel quale si lascia cadere tutto quanto si è conquistato precedentemente e si cerca di diventare ancora bambini, nell’imparare il nuovo. Come nell’infanzia imparare non sembra essere semplice, anche qui sorgono momenti di confusione, sconforto e morte.
La missionaria affronta un processo di morte, come il seme, al fine di dare vita nuova a se stessa e produrre il centuplo. Viene in contatto con la gente locale, cerca di comprendere il loro modo di vivere, il loro stile di vita e costruisce la sua strada attraverso il DIALOGO DI VITA. Celebra la bellezza di apprezzare e riconoscere gli altri. Accoglie con gioia le differenze e questo diventa l’aspirazione e lo stile di vita che lei abbraccia.
Non così facile da mettere in pratica, anche se molto facilmente possiamo scriverlo a parole. Ma una piccola scintilla della mia esperienza può illuminarci per far brillare il fuoco della CULTURA DELL’AMORE. Il Signore non si aspetta da noi e da me grandi cose, ma piuttosto piccole cose fatte con amore.
Qualche mio consiglio potrebbe essere:
- mostrare alla gente piccoli gesti di gentilezza, compassione, fiducia, di amore di Cristo, che povero e perseguitato ha vissuto per gli altri ed è morto per gli altri.
- inserire noi stessi nel contesto, con gli stessi sentimenti e attitudini di Gesù.
- comunicare l’apertura a imparare, a lasciar perdere, a comprendere, a rispettare.
- impegnarci per primi a studiare la lingua locale, i costumi, le tradizioni, ecc.
- diventare uno con la gente attraverso il dialogo di vita.
- adattarci a – accogliere – apprezzare i modi diversi di fare le cose.
- scoprire i segni della presenza di Dio, in ogni cosa.
- accompagnare la Chiesa locale nel difficile compito dell’inculturazione del Vangelo e nell’evolversi continuo del processo di evangelizzazione. (Art. 23 delle nostre Costituzioni).
La gente oggi è affamata d’amore e il linguaggio dell’amore è presente in ogni cultura. Fin dall’inizio dell’Enciclica Papa Francesco fa chiarezza dicendo che l’unico e solo consiglio che ci offre è “UN AMORE che va al di là delle barriere della geografia e dello spazio. Qui S. Francesco dichiara beato colui che ama l’altro «quando fosse lontano da lui, quanto se fosse accanto a lui»” (n. 1). Questa apertura è richiesta a ciascuno di noi, in modo particolare a noi missionarie, un’apertura che ci permetta di riconoscere, apprezzare, amare ogni persona senza guardare alla sua prossimità fisica o al luogo dove è nata e/o vive.
Usando le parole di S. Paolo, ci possiamo esprimere così: “mi sono fatto tutto a tutti” (1Cor 9,19-23). Lo stesso concetto è chiaro nelle nostre Costituzioni, “Cerchiamo di farci tutto a tutti, stando accanto alla vita quotidiana della gente e delle comunità, nella gioia missionaria di condividere la vita del Vangelo” (C26).
Oggi in India, la gente apprezza in noi questi valori. Noi viviamo, proclamiamo, testimoniamo all’interno di diverse culture. Dalla nostra parte la delicatezza è di scoprire le possibilità, esprimere la ricchezza del mistero di Cristo in un nuovo modo, senza creare una situazione confusa. Dobbiamo rivivere e rinnovare le linee guida adatte ad ogni singolo contesto, sperimentando il dinamico e fruttuoso scambio culturale che nasce quando le culture incontrano il messaggio cristiano dell’AMORE DI GESU’.
Per concludere, vorrei dire che la nostra responsabilità morale ci spinge ad un impegno più fattivo nell’inculturazione. Il processo di inculturazione in altre culture non è solo un’adozione puramente esterna della nuova cultura/e, ma piuttosto una trasformazione intima di valori culturali autentici attraverso la nostra integrazione e il nostro inserimento nella nuova cultura umana. Quindi, il processo è profondo e ci abbraccia interamente. E’ una chiamata ad accettare ciascuno come nostro fratello e sorella ed è il maggior bisogno del mondo attuale.
Sr. Frida Toppo, Hailakandi, Assam- India