Ogni anno molti giovani decidono di mettersi in gioco con il cammino di Giovani e Missione, un percorso di due anni che prevede una breve esperienza in missione. Più che un viaggio all’estero è un itinerario alla scoperta di sé e di ciò che conta davvero, un’opportunità per lasciarsi interrogare dalle domande belle e importanti che muovono alla ricerca del senso della vita.
Alcuni dei giovani che sono partiti in missione quest’anno hanno voluto condividere con noi quello che ha cambiato il loro sguardo verso l’accoglienza, l’amore, la gioia, la povertà, il sacrificio, la vocazione… e molto altro. In questo articolo i giovani condividono le loro riflessioni sulla parola “fede”, “gioia” e “servizio”.
Sara Giacobbo e Stella Giani – Manaus
Abbiamo sperimentato un altro modo di celebrare la parola e di vivere la fede. Qui abbiamo visto donne e uomini commuoversi nel testimoniare la propria vita di fede o alzare le braccia al cielo ad ogni canto per ringraziare Dio. Abbiamo visto maglie con i santi, che seppure all’inizio ci sono sembrate molto strane, abbiamo capito che servono a evangelizzare e manifestare con orgoglio la religione in cui si crede.
Valeria Villa – India, Siliguri
Penso che la gioia sia un concetto molto difficile da definire in modo chiaro e che spesso sia confuso con la felicità. Credo infatti che la gioia sia l’espressione esplosiva ed immediata della felicità, che è invece un sentimento molto più profondo e avvolgente. Un’idea, nemmeno troppo definita o formalizzata, che avevo prima della missione era che ci dovesse essere sempre una ricerca sfrenata e incessante della felicità e che la gioia dovesse nascere non necessariamente da grandi cose, ma che per essere piena dovesse venire da qualcosa di sorprendente o fuori dall’ordinario. Ciò che mi hanno mostrato le bambine dell’ostello di Mehendipara, con i loro sorrisi e gli sguardi così spontanei e genuini, è che la felicità è una scelta, tanto coraggiosa quanto naturale, e che la gioia può effettivamente nascere dal piccolo, ma anche dal quotidiano, che io reputavo ingenuamente vuoto o poco stimolante. Serve solo che questa gioia sia condivisa e che ci sia il desiderio comune di viverla.
Davide Brioschi – Filippine
Sono sempre stato d’accordo con la famosissima frase che dice che i soldi non fanno la felicità. Dopo l’esperienza di missione però posso dire di averla provata sulla mia pelle. Noi italiani/europei spesso ci riteniamo fortunati per essere nati in una nazione in cui bene o male abbiamo tutto ciò di cui abbiamo bisogno per vivere dignitosamente; eppure io ho riscontrato molto più disagio e molta più fatica in Italia rispetto alle Filippine.
Tra le poverissime baraccopoli di Manila ogni persona sembra sempre serena e accogliente, mai nessun lamento, nessuna recriminazione… È fortissimo il senso di comunità: generalmente le persone vivono in strada e sono sempre a contatto le une con le altre, aiutandosi e condividendo diversi momenti della vita e della giornata.
Quasi con invidia, guardando alle loro vite ho pensato alla nostra Italia, alle nostre vite strette e chiuse all’interno delle nostre case, che pur essendo molto più ampie e confortevoli delle loro, spesso diventano per noi come una prigione o una barriera verso i contatti con le altre persone. Noi per incontrarci abbiamo bisogno di un luogo e un orario preciso, di un appuntamento, mentre a Manila in qualsiasi momento, per strada, si è sempre circondati da altre persone…È la vita che è già INCONTRO.
Tommaso Albanese, Ciad
Prima dell’esperienza in Tchad consideravo il servizio come qualcosa di esteriore per cui tu fai qualcosa. Un fare. Tu puoi fare tante cose, ma senza avere dentro lo spirito del servizio. In missione, invece, ho capito che il servizio non è così, ma che esso nasce da una spinta interiore. Allora mi sono chiesto da dove venisse, in particolare. Poi l’ho visto negli occhi dei missionari e delle suore. Era uno sguardo limpido, denso di amore, felice, saldo. Da dove nasce? Dall’incontro con Gesù, attraverso i sacramenti e le relazioni. Il servizio non è un fare, ma un essere, un dono che Gesù fa in noi. Lui ce lo fa se noi siamo, e non se noi facciamo. Se noi siamo.