Suor Suzanne Djebba camerunense e Missionarie dell’Immacolata in Guinea Bissau per circa otto anni, condivide la sua esperienza al convegno internazionale missionario organizzato in occasione del giubileo del mondo missionario tenutosi il 4-5 ottobre. Di seguito riportiamo una sintesi del suo intervento.
Il mio primo invito missionario in Guinea Bissau
Un giorno, come comunità religiosa, dovevamo partecipare all’incontro per la programmazione dell’anno pastorale nel nostro settore e per arrivarci bisognava prendere la barca. Quando siamo arrivate sulla riva, scendendo dalla barca, ho sentito l’invito di un ragazzo: “Vieni a mangiare“. All’inizio non sapevo neanche da dove venisse questa voce e quindi mi ero solo girata per curiosità, ma anche per capire chi davvero mi stava invitando. Io, comunque, ritenevo non fosse rivolto a me perché ero nuova, appena arrivata, e, oltre alle mie consorelle, nessuno mi conosceva. Eppure, il ragazzo ha continuato a chiamare indicandomi col dito e dicendo che stava proprio chiamando me.
Direi che, pure essendo africana e sapendo che la condivisione è qualcosa di naturale, sono rimasta comunque sorpresa e anche colpita dal suo gesto. Non conoscevo affatto questo ragazzo e tanto meno lui conosceva me.
Cosa mi è rimasto di questa prima esperienza? Mi rimane un invito caloroso, una chiamata vibrante ad entrare nella comunione di un popolo che pure senza conoscermi già mi attendeva. Un popolo a cui non importava di sapere se ero appena arrivata, se ero straniera, donna, se appartenevo ad una religione o ad un’altra, ma che mi rivolgeva solo un semplice invito: “vieni…” è come se mi chiamassero a stare sempre con loro per vivere la missione in pienezza, non da spettatrice, ma immersa in mezzo a loro come inviata da Dio e nello stesso tempo invitata da loro stessi a far parte della loro vita e ad entrare nel loro mondo per farlo diventare anche mio.
La Collaborazione con la chiesa locale
L’invito che ho ricevuto mi ha subito fatto capire che la comunione significava per me lavorare per la Chiesa e con la Chiesa. Per noi nuovi missionari, oggi, quando arriviamo in missione, la realtà è ben diversa perché troviamo già una chiesa locale abbastanza strutturata e funzionante. Quindi non arriviamo per iniziare da zero la plantatio della Chiesa in quel posto determinato, bensì per rinforzare la sua presenza e darle un volto più missionario. Questo però comporta la capacità di sapersi mettere al fianco degli altri, cioè non davanti da protagonisti eroici, né dietro da spettatori passivi e critici, ma fianco a fianco, mano nella mano per lavorare insieme come un corpo ecclesiale. Per me questo è stato l’atteggiamento di fondo che ho cercato di attuare nella vita in missione.
L’icona che mi ha sempre accompagnato è quella di Gesù che cammina con i discepoli di Emmaus, che entra in dialogo con loro tenendo presente le loro preoccupazioni, li aiuta pian piano a capire i disegni di Dio e scompare una volta che i loro occhi si sono aperti alla frazione del pane. Per me, lavorare con la Chiesa locale, è vivere nel concreto questo camminare insieme che si traduce nella condivisione della fede, della formazione e dei doni ricevuti da Signore. Un’altra immagine che mi accompagna è quella di Gesù seme e seminatore, molto cara al mio Istituto: questo seminatore generoso e instancabile che getta la semente ovunque, senza distinzione di posti e luoghi, è proprio la spinta del mio quotidiano agire missionario.
Nei miei primi anni di missione in Guinea, la sfida maggiore era la formazione dei formatori per la vita religiosa. Ho affiancato nel primo anno una Suora della Consolata: un’esperienza davvero ricca che mi ha permesso di sperimentare la bellezza di contribuire alla formazione dei formatori, condividendo con loro le gioie e le fatiche nelle zone dove le risorse umane e academiche sono molto limitate. Al secondo anno, mi sono ritrovata da sola ed era un compito troppo grande per me. Abbiamo creato un gruppo di formatori già presenti sul posto che, ancora oggi, sta portando avanti il lavoro formativo. Per me questo è un motivo di gioia che mi dà speranza perché traduce concretamente l’impegno della Chiesa per la cura e la formazione delle vocazioni locali.
La missione dell’ascolto
In missione c’è sempre l’urgenza o anzi la tentazione di lavorare molto e, a volte, anche in modo frenetico perché di solito le necessità sono sempre superiori alle nostre forze. La chiamata che ho ricevuto dai giovani e dalle donne era quella di dare tempo a loro per l’ascolto. Come altri missionari, anch’io, nei primi tempi, vedevo che c’era troppo lavoro pratico e che l’ascolto era un cammino molto lento per poter raggiungere i miei obiettivi. Era più facile fare qualcosa per gli altri piuttosto che dedicare tempo a stare con loro e capire davvero cos’era meglio per loro.
Cosa mi ha fatto cambiare prospettiva? Semplicemente una donna che, un giorno, mi ha fatto una domanda critica: “Voi missionari perché non ci lasciate esprimere la nostra gioia?“. Mi ha risposto dicendo che i missionari fanno tutto per loro, ma non si aprono a ricevere a loro volta ciò che il popolo dà loro come espressione della loro gratitudine. Questo piccolo dialogo mi ha fatto capire che solo nell’ascolto potevo avere questo spazio del dare e ricevere. Da quel momento ho capito che la missione non è appunto solo un dare, un fare, ma anche un ricevere. Posso dire senza esagerare che, nell’ascolto delle persone, ho ricevuto più di quanto abbia dato. Attraverso l’ascolto ho capito di cosa davvero avesse bisogno il popolo, il suo proprio bene e non il bene che io pensavo di fare per loro e, a volte, al posto loro.
L’immagine di Maria, la donna dell’ascolto, mi ha aiutato molto nella missione. Ascoltare le persone come Maria li avrebbe ascoltati, ascoltare come Maria ascoltava suo figlio Gesù in tutte le fasi della sua vita. Ascoltare per condividere la profondità del cuore dell’altro, il suo tesoro intimo, sperimentando la fiducia di Dio. Un giorno, è arrivata nella nostra comunità una signora anziana che chiedeva un aiuto finanziario. Mi sono seduta accanto a lei e subito ha cominciato a condividere la sua vita con tutte le sue difficoltà. Ma ciò che mi ha stupito è che, quando ha finito di parlare, non ha chiesto più niente. Mi ha solo detto: “Grazie per avermi ascoltata“. I tempi dedicati all’ascolto sono momenti dove attraverso il dialogo e la relazione interpersonale, nasce la speranza, la gioia di essere preso sul serio, valorizzato e ascoltato. Per me portare le persone ascoltate a Gesù nell’Eucaristia è un momento molto forte dove sento che è Dio stesso che lavora e noi siamo solo i suoi semplici collaboratori.
Altri aspetti della missione
La promozione sociale: Attraverso l’educazione, ossia le Scuole, cerchiamo di dare un’educazione di buon livello. Abbiamo scelto lo stile di Scuole di autogestione che coinvolge lo Stato, il villaggio e noi. Diamo anche priorità alla formazione umana e l’appoggio finanziario per i giovani che fanno degli studi universitari e professionali. Dopo anni di impegno e sacrifici, finalmente vediamo che sono diventati finanziariamente autonomi. Alcuni dei giovani che abbiamo aiutato stanno, a loro volta, pagando la scuola/formazione professionale ad altri giovani che non sono per forza appartenenti alle loro famiglie. Per me questo è un forte segnale di speranza: vedere che il bene si moltiplica.
L’annuncio e la testimonianza: L’annuncio, come l’ho vissuto in Guinea, è stato fatto tramite la catechesi nella quale non si può fuggire dal dialogo tra fede e cultura, tra fede e tradizioni locali. Diamo anche valore alla formazione dei catechisti perché, tante volte, loro arrivano dove noi non arriviamo, sanno usare il linguaggio locale per far capire le cose in modo semplice.
Seminatori di pace e giustizia: In un Paese segnato da guerre e da diversi colpi di Stato, tutta la Chiesa è cosciente di questo dono prezioso e lavora per mantenerla. I Vescovi, i Sacerdoti, i Religiosi e tutti i cristiani si impegnano ogni giorno a promuovere la comunione, il dialogo tra le persone e le comunità, l’amicizia tra tutti. In Guinea i musulmani, i praticanti della religione tradizionale e i cristiani vivono tutti insieme e, capita che siano anche della stessa famiglia.
Conclusione
Per me la missione è presenza, una presenza, a volte discreta e silenziosa, ma che incide profondamente sulla vita delle persone. Una presenza che, a volte, ha bisogno anche di parole per esprimere e condividere ciò che in cui crediamo, una presenza che si fa compagnia e una presenza che condivide le gioie e le speranze del popolo a cui siamo stati mandati.
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