Sabato 14 settembre, nella chiesa parrocchiale Maria Regina di Pioltello, alle 10:30, si è compiuto un passaggio che non appartiene soltanto al calendario liturgico, ma alla grammatica profonda della chiamata vocazionale. Sr. Happy e Sr. Merina hanno pronunciato la loro professione perpetua, quel “sì per sempre” che sigilla un cammino iniziato anni fa in terre lontane, in Bangladesh, tra villaggi e parrocchie dove le suore Missionarie dell’Immacolata erano presenza familiare.

Due storie diverse, due percorsi che si intrecciano nella stessa scelta radicale: consegnare la propria vita a Dio attraverso la missione. Happy, con la sua gioia contagiosa e la semplicità disarmante di chi è entrata in convento attirata da qualcosa di inspiegabile. Merina, con i suoi dubbi attraversati senza negarli, la sua fatica di essere compresa dalla famiglia, il suo cammino verso la consapevolezza di essere preziosa agli occhi di Dio. Entrambe hanno pronunciato un “sì” che non cancella le domande, ma le abbraccia dentro una fiducia più grande.

Happy: La Gioia che Non Si Spiega

Quando Happy racconta la sua vocazione, emerge un percorso fatto di attrazioni silenziose più che di certezze folgoranti. A Bonpara, in Bangladesh, cresceva vedendo le suore missionarie senza pensare davvero che quella strada potesse riguardarla. Finché Sr. Chondra, Missionaria dell’Immacolata presente nella sua parrocchia, con la sua gioia contagiosa nel visitare i malati, nel stare in mezzo alla gente, ha lasciato un’impronta nel suo cuore. “Era una suora molto gioiosa,” ricorda Happy, “qualcosa mi attirava.” Non era ancora una chiamata definita, ma un desiderio senza nome: voleva essere una persona gioiosa come quella suora.

A sedici anni partecipò a un programma vocazionale “Vieni e Vedi” quasi per curiosità, con quella leggerezza di chi pensa: “Non mi costa nulla fare questa esperienza.” Al ritorno, la sua decisione lasciò tutti increduli. Il padre fu diretto: “Tu non puoi stare in convento.” Happy rispose con semplicità: “Vado lì, se non posso stare tornerò. Casa mia è aperta per me.” Entrò nel 2007 senza sapere cosa significasse essere missionaria, portando solo un desiderio indefinito e tanta fatica nell’adattarsi. Veniva da una famiglia di sette fratelli, dove la libertà di esprimersi era naturale. “Ero una persona molto libera, poi ho dovuto imparare tante cose, a non dire tutto così direttamente.”

Due parole bibliche sostengono il cammino di Happy come pilastri silenziosi. La prima è quella di Giovanni: “Non voi avete scelto me, io vi ho scelto.” Guarda indietro al suo percorso e riconosce con umiltà: “Non ero una persona brava, non avevo tante capacità, nemmeno adesso. È Dio che mi ha scelto.” L’iniziativa non è mai stata sua. Attraverso esperienze diverse, piano piano, ha scoperto cos’è l’amore di Dio: un amore che non richiede perfezione, ma accoglie i limiti. “Ho tanti limiti, ma a poco a poco ho scoperto che il Suo amore è più grande.”

La seconda parola è quella di Paolo: “Ti basta la mia grazia.” Happy la ricorda con emozione particolare, legata al giorno della professione perpetua celebrata in Italia, lontana dai genitori, in una lingua che ancora fatica a padroneggiare. Una grazia che si è manifestata come gioia inspiegabile, facendo scomparire ogni preoccupazione. La sufficienza di Dio: non serve essere capaci, serve lasciarsi scegliere. Non serve essere pronti, serve fidarsi che la grazia basta sempre.

Merina: Preziosa agli Occhi di Dio

Nel territorio incerto della scelta, dove si intrecciano dubbi e desideri, Sr. Merina ha percorso un cammino di progressiva consapevolezza. Fin da bambina nel suo villaggio incontrava le suore missionarie che cantavano e raccontavano storie. Dopo la scuola superiore si trovò davanti al bivio: vita religiosa o matrimonio? Entrò nella congregazione, ma la sua decisione non fu accolta da tutta la famiglia. “Mamma e sorella ancora oggi non comprendono la mia scelta,” confida. Eppure non è rimasta sola: altre sorelle hanno costruito ponti con i suoi genitori e, passo dopo passo, ha imparato a custodire questo dolore senza che diventasse amarezza.

 Sette anni dopo l’ingresso, Merina riconosce una trasformazione profonda. “Si è trasformato anche il mio sguardo. Prima non ero molto consapevole di quale sì stavo pronunciando. Il primo sì è rimasto più a parole; il sì di adesso è un sì della vita quotidiana, un sì per sempre.” Il giorno della professione perpetua ha pensato al sì di Maria: “Ha detto sì, però non sapeva cosa sarebbe successo. Però fino alla croce lei ha sostenuto il suo sì.” Una fedeltà che attraversa l’incomprensibile. Per la sua immaginetta ha scelto: “Tu sei preziosa ai miei occhi” (Is 43,4). È la sintesi del suo cammino: “Io tante volte volevo scappare, scappare lontana da Dio. Però non sono riuscita a scappare. Perché Dio mi ha amato.”

Attraverso le persone ha fatto esperienza concreta di questo amore. “Ho fiducia nello Spirito Santo, ma credo che lo Spirito Santo lavori attraverso le persone.” Non sapeva parlare davanti alla gente, era difficile rompere il ghiaccio. Nella congregazione è cresciuta: “Adesso posso parlare davanti alla gente, mi sento più sicura.” Sono le piccole fedeltà di Dio, i dettagli attraverso cui si manifesta un amore che accompagna la crescita. La sua missione comincia nel quotidiano: cedere il posto a una persona anziana sull’autobus, essere attenta alle necessità degli altri, offrire il proprio tempo anche quando costa sacrificio.

Un Messaggio alle giovani

Alle giovani che cercano il loro cammino, Happy e Merina affidano parole nate dall’esperienza, non da certezze prefabbricate. Happy propone un verbo: custodire. “Tutte le esperienze belle e brutte bisogna custodire, perché non sappiamo il nostro futuro. Se custodiamo le cose che vengono nella vita quotidiana, possiamo vivere una vita migliore.” Non promette che tutto andrà bene, non offre garanzie facili. Propone invece un’attenzione contemplativa alla vita così come si presenta, giorno dopo giorno. Custodire significa accogliere senza paura, lasciare che le esperienze – anche quelle difficili – diventino tesoro nascosto che un giorno, forse, rivelerà il suo senso.

Merina, con disarmante onestà, riconosce: “La vita religiosa missionaria non è facile, però non è impossibile. Quando gustate il sapore della vita religiosa missionaria, sentirete la gioia, la pace, la pienezza della vita e l’amore.” Non promette facilità, ma pienezza. “Devono camminare con coraggio e speranza. La speranza non delude mai.” Ricorda suo nonno paterno, che non era ancora cristiano: “Dove sei andata, rimani lì con fiducia e compi ciò che Dio ti ha mandato a compiere.” Era indù, eppure le diede un consiglio saggio che lei custodisce come benedizione.

Due sorelle, due storie, un unico filo rosso: la scoperta che quando è Dio a scegliere, la Sua grazia basta sempre. Il loro “sì per sempre” pronunciato a Pioltello non è la fine del cammino, ma l’inizio di una nuova tappa. Come quella ragazza che entrò in convento senza sapere nulla di vocazione, portando solo il desiderio di una gioia vista brillare negli occhi di una suora. E che oggi può dire: “Non so ancora tutto, ma continuo ad andare avanti.” Perché la vocazione non è un punto d’arrivo, ma un cammino da rinnovare ogni giorno, nella fedeltà alle piccole cose, nell’ascolto di una voce che continua a chiamare.

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