Sr. Elena Guglielmelli è nata a Napoli nel 1946 ed è missionaria dell’Immacolata dal 1971. Nei primi anni dopo la professione religiosa ha potuto studiare da infermiera e così specializzarsi, lavorando in varie strutture in cui allora prestavamo servizio.
La sua storia missionaria inizia in India e continua in Bangladesh…I curiosi piani di Dio!
Destinata infatti per l’India, è partita alla volta della missione nel 1982, per poi lavorare come infermiera per 8 anni fra gli ammalati di lebbra a Eluru. Contemporaneamente però, a Khulna, nel Sud del Bangladesh, si susseguono alcuni fatti che la coinvolgeranno da vicino.
Sr. Rosa Sozzi, missionaria dell’Immacolata e medico, arriva in Bangladesh nel 1974. Sr. Rosa negli anni ’80 nella zona di Khalishpur/Khulna stava lavorando ad un sogno missionario, la prima struttura per curare malati di lebbra nel Sud del Bangladesh, dove arriva nel 1986. Le necessità sono grandi, i malati numerosi, l’idea di sr. Rosa sembra rispondere ai bisogni del tempo, ma gli imperscrutabili piani di Dio vogliono diversamente e Sr. Rosa muore di malattia il 27 ottobre 1989, a soli 48 anni. Ed è proprio qui che sr. Elena incontra il Bangladesh. L’allora Madre Generale sr. Antonia Mapelli, infatti, vista l’emergenza del progetto dell’ospedale in corso, ma senza più un medico, chiede a sr. Elena la disponibilità di andare per sei mesi a Khulna-Boyra per valutare bene l’opera, se ci fosse la necessità e le opportunità per portarla avanti. Bè, quei sei mesi sono diventati quasi trent’anni, e sr. Elena non è più rientrata in India, inserendosi invece appieno nella missione in Bangladesh, dove presta il suo servizio fino ad oggi, vivendo in questi anni nelle diverse comunità di Khulna, Dhanjhuri, Kudbir e Bonpara.
DOMANDE:
- sr. Elena, secondo la tua esperienza, quali sono gli elementi fondamentali di uno stile di vita missionario, che permettono di inserirsi in missione?
Per me la cosa più importante è l’apertura verso l’altro, l’accoglienza. Dovunque andiamo troviamo la diversità, ma l’importante è vivere la curiosità e l’amore, l’interesse di scoprire l’altro dov’è, chi è, con gusto, interesse ed entusiasmo. Nel mio percorso è come se avessi vissuto l’inserimento missionario due volte: In india ho potuto sentire maggiormente la tranquillità e la passione nell’aprirsi alla missione, ho studiato molto l’induismo e ho fatto esperienza dell’hasram. Qui in Bangladesh ho percepito di più l’emergenza della missione, delle cose da fare, ma sicuramente considero anche qui come una delle cose più importanti il conoscere la lingua, la religione, lo stile della vita della gente.
L’approfondimento e la conoscenza dell’altro è sempre stata una mia passione, nella mia vita missionaria ho cercato infatti di approfittare di tutte le possibilità, di seguire dei corsi di inculturazione, di leggere, per poter comprendere sempre più come l’altro pensa e considera le diverse variabili della vita.
E’ in questa passione che ho trovato tuttavia anche la fatica:
entrare nel pensiero dell’altro, così diverso da me, nella percezione del suo modo di sentire, è un percorso mai finito, un traguardo sempre da raggiungere.
In tanti momenti mi sono trovata in difficoltà nel dover riconoscere valore o importanza dove io non ne davo, o viceversa. Qui in Bangladesh da questo ho imparato l’importanza della pazienza e del saper attendere.
- Quali sono i tuoi consigli per un giovane missionario che si sta inserendo ora in missione?
Cominciamo parlando di cose serie: quello che serve prima di tutto è la certezza della propria vocazione di chiamato da Dio per una vita consacrata missionaria. Se abbiamo questo abbiamo tutto! E se abbiamo scoperto che questa è la nostra vocazione, possiamo tirare dritto in ogni difficoltà e fidarci di Dio che mai ci abbandonerà.
Questa percezione, che anch’io ho scoperto pian piano nella mia vita, è fondamentale: il Signore c’è sempre e soprattutto nei momenti in cui pensi che non ce la farai. Se hai scoperto questo, se senti il Signore come guida nella tua scelta di vita missionaria nulla ti manca e nulla ti serve di più.
Nella vita e nel quotidiano, io mi sento ‘la missionaria del feriale’, cioè la missionaria che ogni giorno si sente riconfermata dalla presenza del Signore che ti dice ‘va’ avanti’.
La prima cosa che serve quindi, ed è una grazia di Dio, è essere convinti della propria vocazione, io vado avanti a qualsiasi costo, perché questo è il progetto di Dio. Verranno dei momenti duri, ma su questa parola si può sfidare anche l’incertezza e la difficoltà, fidandosi del Signore che ci ha voluto qui.
Ricordo un episodio, in cui condividendo con un’amica le difficoltà che stavo attraversando, lei mi ha dato una risposta che mi è servita da lezione citando la lettera agli Ebrei (Eb 12,3-4): Pensate attentamente a Cristo, che ha sopportato contro di sé una così grande ostilità dei peccatori, perché non vi stanchiate perdendovi d’animo. Non avete ancora resistito fino al sangue nella lotta contro il peccato.
Questa citazione mi ha scosso, ma mi ha richiamato alla realtà e mi ha aiutato a vivere ancora con nuova forza il mio quotidiano.
- Quali sono i punti forti, irrinunciabili della vita missionaria, secondo la tua esperienza?
Quello che posso chiamare un punto forte, un fondamento, è questa certezza dell’essere stata scelta all’interno di un piano di Dio, di essere uno strumento. Ho sempre sentito di essere su una strada non scelta da me, ma ispirata.
Io sono infermiera e ho lavorato molto come infermiera in missione, ma non è stata una scelta all’insegna dell’entusiasmo. All’inizio avevo il rigetto per questa professione, ma ho pensato di fare l’infermiera per il bene e la necessità della missione, di cui vedevo i bisogni nel campo della sanità, e non mi sono mai pentita. Ho sempre sentito come quello che faccio non sia opera della mia bravura, ma piuttosto del Signore che si serve di me e di noi come strumenti, questo è per me il cuore della mia vita missionaria. E’ la sua presenza che rende il feriale eccezionale, speciale, c’è la presenza di Dio.
Posso dire inoltre che l’esperienza con i lebbrosi e i malati è un modo diverso di conoscere la missione. Ho sempre sentito fra le mie mani una possibilità straordinaria di conoscere l’altro, sentire che il Signore ti affida questa persona perché tu ne possa prendere cura. Tantissime persone ritornavano da noi una volta guarite, molto riconoscenti, dicendo che ci sentivano come fossimo famigliari, parenti, spesso le loro mamme. Sentivano che gli volevamo bene più della loro stessa famiglia.
Fra paziente e dottore/infermiere si crea un legame nel bene e nel male che è empatico, anche noi nel curare i lebbrosi sentivamo come di toccare o curare qualcosa di noi stessi.
- Raccontaci un episodio concreto che più ti sembra significativo.
Nel legame con i paziente cerchiamo di ripercorrere i passi di Gesù e di prenderci cura degli altri, non solo del loro corpo, ma della loro stessa vita. Delle volte ci prendevamo in carico tutta la famiglia dei nostri pazienti, aiutandoli dando il cibo e le risorse per chi non lavorava più o trovando altri lavori per chi poteva ancora lavorare. Con i lebbrosi in particolare poi sento come una chiamata particolare: il Signore ci chiede di ristrutturare arti deformati e guarire piaghe lacerate, ci ispira quasi ad essere a sua immagine, creatori di vita.
Mi è chiaro questo pensando alla prima bambina ammalata di lebbra che abbiamo operato in India. Lei, di nome Rani, era hindu e aveva solo 14 o 15 anni. Per me vedere per lei la possibilità di usare di nuovo le mani (la manina esile deformata dal morbo di hansen), di prendere in mano ancora le cose, è stata una gioia indescrivibile, la possibilità di partecipare alla ri -creazione, la possibilità di essere insieme al Signore datori di vita e di speranza.
- Cosa vedi nel futuro della missione?
Vedo che bisogna trovare un modo nuovo di cercare e trovare e di vivere la missione. Siamo in un momento di grande rinnovamento missionario, mi sembra che ci venga chiesto come di tornare a guardare con occhi nuovi la realtà, per chiedere e chiedersi quale sia il bisogno. Senza questo tipo di rinnovamento a partire dalla realtà ogni missione e anche la vita consacrata rischia di fermarsi e arenarsi.
Ho molta fiducia nelle nuove generazioni: con loro può cominciare un nuovo modo di operare la missione. Se non si sa da dove cominciare bisogna cominciare con guardare le cose che ci stanno attorno con il desiderio di rendere sempre protagonista il Signore, disposti a qualunque sacrificio…Le buone idee, specialmente quelle Ispirate, si pagano! …….ma da qui viene una forza che aiuta a tirar fuori il meglio di se stessi, e una gioia profonda che sempre ti accompagna.
sr. Elena Guglielmelli – Provincia Bangladesh
Per saperne di più: CHI ERA SR. ROSA SOZZI